Lo spirito che lo anima ha la stessa forza intellettuale dei Padri Costituenti. Forse anche per questo il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, lo volle a capo del Consiglio superiore per i Beni Culturali. Ma è la straordinaria competenza di Salvatore Settis, storico dell’arte, archeologo, direttore del Getty Research Institute di Los Angeles, direttore della Scuola Normale di Pisa, titolare della Càtedra del Prado e presidente del Comitato Scientifico del Louvre, a conferire il sigillo dell’autorevolezza alle sue riflessioni e spesso, da qualche tempo, anche alle sue denunce.

Il suo ultimo libro, edito dalla Einaudi, “Paesaggio, Costituzione, cemento” è diventato una sorta di breviario laico, per chi ha a cuore la tutela del territorio e dei contesti ambientali in genere. Anche perché l’autore si dice particolarmente colpito da quello che definisce “un indizio interessante”: l’attenzione crescente della Chiesa verso il paesaggio, attraverso l’incitamento all’azione nobile della “salvaguardia del creato”.

Ospite del Distretto Culturale Daunia Vetus e della Diocesi di Lucera-Troia, nel quadro degli incontri di ECOTIUM 2011, il professor Settis ha affrontato una vera e propria full immersion nei due centri del Subappennino, potendo ammirare le rispettive Cattedrali e il magnifico Rosone troiano, visitando i musei civici e diocesani e apprezzandone i reperti, lasciandosi rapire dagli Exultet; scoprendo l’Episcopivs Troianvs, la Fortezza Sveva Angioina e l’Anfiteatro Romano a Lucera, ma anche bacchettando e lamentando una generale carenza di pubblicazioni, nonché un comune e approssimato lavoro sia di datazione sia di segnalazione didascalica.

La sua conferenza, nell’affollato e ristrutturato Teatro Comunale di Troia, è stata seguita da un gran numero di giovani provenienti dalla provincia e soprattutto dal bacino universitario del capoluogo foggiano. Infatti, dopo i saluti dell’autorità civica, è stato il prof. Giuliano Volpe, rettore dell’Ateneo di Capitanata ed egli stesso archeologo, a toccare per primo i temi della serata, ponendo l’accento sulla “responsabilità degli intellettuali e sui piani paesaggistici non ancora adottati dal Ministero”. Soffermandosi, tra l’altro, sull’esigenza del comprensorio Dauno “bisognoso di profonda riflessione”, verso il concetto di bene comune, nella sua dimensione drammatica di “area ad enorme consumo di territorio”.

Una lectio facilior “da cittadino a cittadini”, quella del prof. Settis, perché il tema della salvaguardia del paesaggio è al contempo tema religioso, etico, sociale e politico, in particolare nell’abnorme divario che separa gli abitanti del pianeta, “tra il solo 1% distruttore e quel “99% che subisce e non reagisce”. Per cui, “Il paesaggio diventa simbolo della società che lo esprime. Ci rovina e ci fa peggiori, se rovinato; ci migliora se è preservato e curato”.

L’altro aspetto su cui il prof. Settis ha insistito è stata la rivisitazione delle qualità estetiche del paesaggio, per suggerirne una profonda “de-esteticizzazione”. Volta al recupero del carattere etico della tutela ed alla denuncia del pericoloso leitmotiv “padroni a casa propria”: catalizzatore di un processo di degrado civile, per cui “il paesaggio finisce col non essere più di tutti gli italiani”.

E qui la denuncia diventa un rosario di dati agghiaccianti. Tre milioni e seicentomila ettari in meno di suolo agricolo dal 1990 al 2005. Ovvero 161 ettari al giorno di cementificazione. Oltre due milioni di appartamenti invenduti in Italia, con una popolazione con tassi d’invecchiamento che crescono inesorabilmente. E si continua a costruire. Con follia disinvolta, stiamo costruendo 33 vani per ogni nuovo nato. “Il paesaggio lo creiamo noi”, ricorda il prof. Settis, “per questo non può essere racchiuso nel semplice colpo d’occhio o in una veduta. La sua correlazione con la salute di ciascuno necessita di un concetto molto più ampio di paesaggio, che abbia più a che fare col come lo si vive”.

Un’esortazione a prospettiva larga, che si affida al sostegno della poesia di Andrea Zanzotto, per esprimersi adeguatamente: “Il paesaggio è trovarsi davanti a una grande offerta, a un immenso donativo, che corrisponde all’ampiezza d’orizzonte”. Quasi un omaggio alla prossimità del Tavoliere. Per leggere finalmente il paesaggio, esso stesso, come “bene culturale” e, quindi, “bene comune prioritario” sui patrimoni privati. Secondo il principio della publica utilitas, che porta il prof. Settis a: “Identificare il paesaggio con la responsabilità del cittadino. Una responsabilità inter-generazionale a tutela dei diritti delle generazioni future”.

Se non altro, per arrestare la deriva distruttiva delle incentivazioni indiscriminate, nell’incantesimo diffuso e ammaliante delle energie rinnovabili, stigmatizzata dall’amarezza del poeta veneto: “…se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi”. Al cui proposito il prof. Settis pone a tutti un interrogativo chiaro e inquietante: “Data per scontata la panacea produttiva e conveniente della scelta rinnovabile, perché allora non si investe in maniera altrettanto massiccia in ricerca?”

L’ancora di salvezza, pertanto, torna ad essere il recupero della dignità Costituzionale del paesaggio. Quella fissata dai Padri costituenti nell’art. 9 della Carta, che è sintesi alta di un combinato multiculturale avvincente, già nell’immediato dopoguerra, un periodo non facile per il Paese, nel supremo interesse di tutti e di ciascuno. La normativa di Luigi Rava del 1909, a tutela del patrimonio storico-artistico (istituzione delle soprintendenze); le disposizioni ispirate da Benedetto Croce sulla tutela del paesaggio; le leggi Bottai del 1939 in tema di difesa del Patrimonio e del Paesaggio. Tutte mirabilmente fuse nella “Fucina Costituente”, in una tela dalla bellezza unica, ordita dall’architettura sapiente di menti lucide, come quelle di Aldo Moro e Concetto Marchesi.

L’aggancio alle fondamenta della Carta Costituzionale è il viatico instancabilmente ripetuto dal prof. Salvatore Settis, che individua la chiave di volta di tutto il discorso nel passaggio concettuale da “paesaggio estetico” a “paesaggio etico”. Per una “Natura (Creato) che è comunità di vita e sistema ecologico da conservare”. Accezione, quest’ultima, intesa come maggior numero possibile di cittadini fruitori, per il maggior tempo possibile.

di Antonio V. Gelormini

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