Alberto Mantovani, immunologo di fama internazionale e direttore scientifico dell’Irccs Humanitas, ha spiegato a Genio & Impresa (genioeimpresa.it), il magazine di Assolombarda, che il percorso per il ritorno alla normalità è lungo e dovrà poggiarsi necessariamente su tre pilastri: affidamento alla scienza, intraprendenza del sistema produttivo e rigoroso rispetto di comportamenti responsabili. Benché sottolinei l’importanza di non abbassare la guardia, Mantovani intravede segnali positivi: “Grazie al confronto con i colleghi in trincea ho la netta percezione che la pressione sui pronto soccorso e sulle terapie intensive si sia effettivamente allentata. Dal mio punto di vista ora la sfida è come accompagnare la ripartenza, consapevoli che dovremo convivere ancora per molto tempo con le misure di distanziamento sociale”. La partita più importante si gioca sicuramente sul vaccino, un terreno sul quale l’immunologo si mostra cauto, ma allo stesso tempo speranzoso: “Ci sono centinaia di candidati vaccini nel mondo, ma in un contesto come questo ogni previsione è un azzardo. Una volta scoperto il vaccino bisognerà renderlo disponibile per centinaia di milioni di persone. In un report sul Covid-19 dell’Accademia dei Lincei al quale ho contribuito, si parla di 18 mesi, una tempistica verosimile”. In questa febbrile ricerca che sta mobilitando tutti gli scienziati da una parte all’altra del globo, l’Italia è in prima linea come racconta Mantovani: “Il patrimonio dell’industria italiana è straordinario. Le nostre aziende hanno messo a punto test rapidi e affidabili per il virus, stanno sviluppando test sierologici e sono in corsa per i vaccini. Stanno lavorando in un contesto in cui pubblico e privato marciano a braccetto. Avere una squadra di studiosi, un’industria farmaceutica, diagnostica e di vaccini in casa è un patrimonio incredibile ed è proprio da qui che arriva quell’innovazione che è un’arma contro il virus”. Per quanto riguarda le terapie, invece, spiega: “Non si troverà “la cura”, ma si otterrà un miglioramento delle cure. Io sono un piccolo alpinista e ragiono così, si va su un tiro di corda dopo l’altro”. Lo scienziato mette poi in guardia sulla cosiddetta “patente di immunità”, un concetto a suo parere fuorviante e pericoloso, sul quale è intervenuta anche l’OMS, invitando i governi a non utilizzarlo in quanto al momento non esistono prove scientifiche a supporto. “Per chi esce dall’ospedale dopo la malattia ed è negativo al virus, il test sierologico può costituire un foglio rosa, di certo non una patente. Dobbiamo ricordare alcune cose sugli anticorpi: non sono da soli un test diagnostico, visto che la risposta contro questa malattia è molto lenta e la loro presenza non esclude quella del virus. Con le tecnologie che abbiamo adesso gli anticorpi ci mettono fino a 20 giorni a comparire dopo l’esposizione e fino a 15 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Al momento, dunque, non abbiamo dati certi e dire a qualcuno “hai gli anticorpi” può indurre a comportamenti irresponsabili. Adesso, con la consapevolezza che i dati illustrati ogni giorno sono soltanto la punta dell’iceberg, è importante capire quante persone sono state realmente esposte e che livello di immunità di gregge potremmo aver raggiunto”.  Conclude, infine, con un’importante ammonizione: “Non dovremo mai abbassare la guardia: le partite si chiudono al novantesimo, a volte ai supplementari o persino ai rigori. Se si abbassa la guardia perché si crede di aver vinto, la fatica fatta fino ad ora sarà vanificata, dobbiamo continuare ad assumere atteggiamenti responsabili. Il nostro Paese ha una struttura familiare molto salda e richiede ai più forti della nostra popolazione un esercizio maggiore di responsabilità, per proteggere se stessi e i più deboli”.