Gentile Direttore,

Negli ultimi giorni le cronache politiche ed economiche della Capitanata sono state monopolizzate dalla notizia dell’annessione dei comuni della BAT alla nostra provincia. Naturalmente diverse sono state le reazioni nei due territori: in casa nostra unanime entusiasmo per un’annessione che sembra possa far tornare venti di dinamicità ad un territorio da troppo tempo apatico e bloccato; nel nord barese invece i soliti moti di campanilismo per una decisione non condivisa. Poste così, le cose non sembrano affatto semplici da mediare e si rischia, così come annunciato da qualche politico ben informato (anche se poco elegante), di dover assistere ad un aborto o ad una semplice unione di territori, privo di una qualsiasi base comune strategica che possa rilanciare la nuova grande Capitanata.

In tutta questa vicenda però ciò che è davvero singolare a mio avviso è l’atteggiamento emerso in casa nostra che ancora una volta fa emergere, quella che ormai sembra essere il comune denominatore di un modo di essere di cui non riusciamo proprio a fare a meno. Per noi foggiani sembra proprio che l’autodeterminazione sia un concetto astratto: la nostra salvezza può venire solo dal di fuori, sia esso il potente di turno che decide per noi o l’imprenditore illuminato che viene ad investire sul nostro territorio, salvo poi scoprire che se lo fa è solo per un suo tornaconto, se non a volte per mera speculazione. Allora vien da farsi tutti una domanda: ma cosa ci manca? Cosa è che ci impedisce di essere protagonisti del nostro futuro, artefici del nostro sviluppo? Probabilmente tanti anni di assistenzialismo ci hanno svuotato, ci hanno tolto quel poco di ‘verve’ umana che nei primi decenni successivi al dopoguerra ha caratterizzato i nostri padri, dandogli la possibilità di ricostruire una città devastata dalla guerra e di tracciare, a volte inconsapevolmente, partendo dal semplice lavoro di ogni giorno, direttrici di sviluppo che hanno cambiato il nostro modo di essere e prima ancora le nostre economie. Semplici artigiani nell’Alto Tavoliere ad esempio hanno creato un distretto del mobile che per diversi anni ha saputo imporsi sui mercati nazionali; tenaci agricoltori hanno dato vita ad un distretto conserviero nel Basso Tavoliere, che ancora oggi tramanda impulsi di positività.

Non occorre perciò aspettare la rinascita dal di fuori, sebbene la possibile annessione della Bat può aprire scenari interessanti e di sicuro stimolo. Questi scenari potranno essere virtuosi però solo se la provincia di Foggia saprà presentarsi all’appuntamento avendo chiara una sua identità e soprattutto una linea strategica di sviluppo sulla quale chiamare a confrontarsi i cugini dell’oltre Ofanto, operando insieme per lo sviluppo territoriale. Tanti sono i temi sui quali agire: dalle infrastrutture alla competitività per le nostre imprese, chiamate sempre più a confrontarsi con i mercati internazionali; dalla cultura come patrimonio per crescere,all’Università come luogo del sapere autentico che possa permeare un’intera comunità. Solo così la grande provincia potrà avere una connotazione che vada oltre la mera composizione ai fini della spending review. Di certo questo percorso non potrà avvenire delegando a terzi ciò che non è delegabile: l’idea chiara di chi si è e di dove si vuole andare. Di questi temi bisognerebbe cominciarne a parlare, dentro e fuori le istituzioni, in modo da stimolare la voglia di crescere e svilupparsi.

Il desiderio è il primo motore dell’uomo che va alimentato per cambiare realmente la situazione di stasi nella quale da troppo tempo ci troviamo.

 

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Massimo Mezzina

Direttore Compagnia delle Opere Foggia

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