fund_raisingEsco da poco dalla ultima tornata elettorale che mi ha vista candidata (ed eletta) per la seconda volta. La prima è stata nel 2009 quando ancora non mi ero avvicinata a quello che oggi è il mio mestiere: il fundraising. È stata proprio questa differenza a permettermi di raffrontare le due campagne politiche, quella del 2009 e questa del 2014, con un occhio critico particolare, proprio quello del fundraiser.

Col decreto-legge n.149 del 13 dicembre 2013 il governo Letta ha proceduto all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, mantenendo solo la possibilità di finanziamento privato; il decreto è stato poi convertito con la legge n.13/2014 e prevede che il passaggio dalla forma di sostegno pubblica a quella esclusivamente privata avvenga in maniera graduale fino al 2017, quando cesserà completamente il finanziamento da parte dello Stato. Questa legge sta, finalmente, aprendo anche in Italia il dibattito (e prima ancora la curiosità) sul fundraising per la politica.

Ovviamente uno dei modelli più strutturati di fundraising per la politica è quello che viene dagli Stati Uniti d’America, dove i cittadini ben sanno che gli verrà chiesto di sostenere il proprio candidato anche economicamente.

In Italia la situazione è ben diversa poiché, non solo i nostri cittadini non sono abituati all’idea di donare soldi a qualcuno per la propria campagna politica, ma soprattutto sono anche in buona parte restii a farlo per il malcostume e gli scandali che troppo spesso hanno coinvolto i nostri politici, proprio sullo sperpero dei fondi pubblici e dei rimborsi elettorali. C’è da chiedersi: ma allora come si fa?

Mi è capitato, da consulente di fundraising, di incontrare qualche realtà politica emergente o qualche candidato che mi ha chiesto consigli su come raccogliere fondi. Ogni volta ho articolato il mio discorso incentrandolo su due parole chiave: fiducia e partecipazione.

Se la campagna elettorale dalla quale sono appena uscita è stata vittoriosa, lo si deve proprio a questi due concetti, fiducia e partecipazione. La vittoria non era affatto scontata a maggior ragione che stiamo parlando dell’elezione del consiglio comunale in un comune del Sud d’Italia di poco più di 2.300 abitanti, dove non si vota tanto su una scia emotiva (quel candidato mi piace, ha carisma) o ragionata (mi piace quel programma elettorale, penso che quel candidato abbia le giuste competenze), ma piuttosto sulla base delle conoscenze (voto mia sorella, voto il mio amico, voto quel candidato poiché mi ha aiutato in qualche modo). Non si tratta, badate bene, del voto di scambio ma di un voto che è vincolato da un rapporto personale più che dal pensiero personale.

Se dovessimo ragionare sulla base di queste considerazioni la nostra elezione era una sfida persa in partenza. Ma allora cosa ha fatto la differenza? La fiducia e la partecipazione. Tutto il mese di campagna elettorale è stato un’enorme festa. Tutte le sere noi candidati incontravamo i sostenitori (100, 200, 300 persone a volta), lo facevamo nel salone di una villa, seduti a tavola a mangiare pasta al pomodoro accompagnata da un bicchiere di vino. Tutti venivano raggiunti da sms che li informavano sulle varie attività e sugli appuntamenti con i candidati.

Tutte le sere insieme, ad ascoltare le singole idee, a confrontarsi, a raccontare la nostra vision.

Tutte le sere venivano consumati 15-20 kg di pasta al sugo, 5-6 kg di pane, formaggi e vino, fiumi di vino. Chi ha pagato la villa? Chi il cuoco? Chi ha fatto la spesa? Chi puliva? Come abbiamo potuto regalare a tutti questi sostenitori la maglietta col simbolo della nostra campagna? E le spese di pubblicità (manifesti, sito internet, banner, ecc.)? Con la partecipazione e la fiducia. Il cuoco si è fidato tanto di noi da scegliere di passare tutte le sere del mese di maggio a cucinare per tutti, i ragazzi servivano ai tavoli, dalle cantine arrivavano le damigiane di vino, le signore preparavano i dolci. E non è forse fundraising questo? Certo, non è fundraising per la politica ma è un piccolo esempio di come le cose andrebbero fatte. Se sono disposto ad investire tempo, fatica e denaro su te che ti ricopri della veste bianca del candidato, vuol dire che mi fido di te. Se partecipo insieme a te alle iniziative, ai comizi, ai momenti di confronto vuol dire che ci sto credendo anche io. In altre parole: se ti sostengo, ti voto!

Ma fiducia e partecipazione non sono forse i pilastri del fundraising in genere? È quello che diciamo da sempre alle organizzazioni non profit: costruite reti di fiducia e di partecipazione alla vostra vita associativa ed arriverà anche il sostegno economico.

Il fundraising per la politica chiede ad un candidato uno sforzo in più rispetto a quanto fatto fin’ora. Non devi solo chiedere il voto ma devi far sì che l’elettore si fidi tanto di te da sostenerti economicamente e per fare questo è necessario che si senta parte di una storia che non è più la tua elezione ma la vostra elezione. I nostri sostenitori non dicevano “se perderete” o “se vincerete” ma “se perderemo” o “se vinceremo”, poiché si sono sentiti parte del nostro progetto politico. A fronte di uno sforzo maggiore c’è anche un vantaggio maggiore. Con questo nuovo modo di intendere le campagne elettorali, la conta dei voti non è più un elemento di incertezza ma diventa molto più semplice sapere su quante persone potrai contare: basta che ti guardi intorno e vedi quanti e quanto ti hanno sostenuto.

Chissà che questo nuovo modo di raccogliere consensi non serva anche a generare una nuova classe politica italiana! In fondo ogni volta che il denaro te lo devi guadagnare con fatica, finisci per dargli più valore e sei propenso a sprecarlo meno!

Valeria Romanelli

(fundraiser presso R&R consulting Snc)

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