E’ nato da appena due anni (l’esordio a Washington nel novembre 2008, in piena crisi finanziaria globale) ma il G20, il vertice delle 20 principali economie che controllano l’85 per cento del Pil globale, e’ sempre piu’ chiamato a sciogliere i nodi cruciali dei rapporti internazionali. Nodi che, oggi piu’ che mai, sono soprattutto di natura economica.

Come ha ammesso lo stesso Barack Obama, quello di Seul sara’ un vertice per cercare di sanare gli “squilibri globali”: squilibri, ha chiarito il presidente americano, provocati da “paesi con grandi surplus di bilancio e che si muovono in modo significativo sul mercato valutario per conservare i vantaggi per le proprie monete”. Il dato odierno sull’attivo record cinese a ottobre (45 miliardi di dollari, di cui ben 15 nell’interscambio con gli Usa) non ha sicuramente rasserenato gli animi, in vista dell’incontro di domani. Gli Stati Uniti hanno gia’ avanzato la proposta di porre un tetto ai surplus di bilancio, piu’ o meno al 4 per cento del Pil dei singoli paesi, ma Cina e Germania – i due principali esportatori mondiali – hanno espresso una netta contrarieta’.

Ma se Washington attacca direttamente Pechino per le resistenze a rivalutare lo yuan, all’origine dell’impressionante crescita dell’export, molti dei partecipanti al vertice non hanno mancato di criticare le mosse della Federal Reserve, che puntano a svalutare il dollaro e rilanciare le esportazioni Usa. Una mossa che ha spinto il ministro dell’economia brasiliano, Guido Mantega, (gia’ ‘autore’ della definizione ”guerra delle valute”) a ipotizzare il ricorso al “paniere di monete utilizzato dal Fondo monetario internazionale”, cosi’ da ”ridurre l’importanza del dollaro”. Non meno dura la cancelliera tedesca Angela Merkel che, partendo per la Corea, ha bocciato la manovra della Fed dal momento che “nessuno puo’ essere interessato a nuove bolle” speculative.

Dalle posizioni distanti di partenza si dovra’ necessariamente giungere a un compromesso. E il risultato – a dar credito alle bozze che circolano alla vigilia dei lavori – dovrebbe essere un documento volutamente generico, pieno di impegni a ”tassi di cambio piu’ flessibili” e senza ”svalutazioni competitive”. Il fatto e’ che gli squilibri sono anche quelli di una governance mondiale fino a oggi nelle mani di pochi protagonisti: la recente riforma del Fondo Monetario – che deve ancora essere approvata dai singoli governi – ha dato il segno di un cambiamento, che a Seul dovrebbe essere ufficializzato. E’ un cambiamento che sancisce la volonta’ della Cina (passata a terzo detentore di quote del Fmi) di assumere nuove responsabilita’ sulla scena internazionale.

A illustrare la posizione di Pechino, un editoriale della ‘Xinhua’l’agenzia ufficiale cinese, che ha – fra l’altro – ‘liquidato’ definitivamente il G7 ed ha salutato il vertice di Seul come un appuntamento per ”definire le nuove strategie da adattare ai cambiamenti mondiali”. Da Londra (sede del penultimo incontro) a Seul, la stessa sede scelta per l’appuntamento – ha scritto l’agenzia cinese – ”riflette l’evoluzione della situazione economica globale”: insomma, e’ l’Asia il cuore del futuro e a Seul ”bisognera’ cambiare marcia, passando dalla gestione delle emergenze a una governance di lungo termine”. E, ricordando le recenti modifiche di statuto in Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, Pechino le definisce ”un buon inizio” e non ”un punto di arrivo delle riforme” per ”dare piu’ voce alle economie emergenti e ai paesi in via di sviluppo”.

Ultimo punto sul tavolo, almeno per la parte economica, l’adozione delle norme di Basilea 3: ma qui l’accordo per requisiti piu’ rigorosi per le banche sembra a portata di mano, anche perche’ in Asia i parametri invocati dai ‘saggi’ di Basilea sono gia’ realta’. L’unico brivido e’ venuto alla vigilia dalle voci su una possibile lista elaborata dal Financial Stability Board che includerebbe venti banche a rischio sistemico per le quali sarebbero necessarie norme ancora piu’ severe (fra queste l’italiana Unicredit). Ma nel giro di poche ore, dall’organismo presidenuto dal governatore di Bankitalia Mario Draghi e’ arrivata la smentita: nessun elenco speciale, ma solo uno studio per identificare e quantificare i ‘punti deboli’ del sistema bancario.

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