Dei sei gas serra oggetto del protocollo di Kyoto, almeno tre sono originati in percentuale significativa dal settore agricolo e sono argomento di specifiche attività di studio al fine di limitare le emissioni. Si tratta del metano, anidride carbonica e protossido di azoto.

Il metano prevalentemente si origina dai processi fermentativi di biomasse e dagli allevamenti animali; l’anidride carbonica proviene direttamente dagli usi energetici in agricoltura e soprattutto dall’ossidazione delle sostanze organiche dei suoli mentre le emissioni di protossido sono legate alle concimazioni azotate.

Il settore agricolo, a livello mondiale, produce solo un quinto della quantità dei gas che contribuiscono all’effetto serra. L’uomo produce il 50-70% del metano e di ossido di azoto mentre il 5% di emissioni di CO2. A tali emissioni concorrono la bruciatura delle stoppie o di altri residui vegetali e la deforestazione. L’aratura del terreno è la causa principale di emissione di CO2.

Storicamente, la lavorazione intensiva dei terreni agricoli ha comportato sostanziali perdite di carbonio organico dal 30% al 50%. Le perdite di CO2 sono dovute alle fratture nel suolo determinate dalle lavorazioni di aratura che facilitano l’interscambio di CO2 fuori dal suolo e di ossigeno dentro il suolo. Le condizioni ottimali per l’emissione di CO2, sono causate dall’agricoltura convenzionale tramite l’aratura profonda per operare l’interramento dei residui colturali.

Le risorse, acqua e suolo, rappresentano i più importanti fattori della produttività agricola e la sua conservazione in termini sia qualitativi sia quantitativi è la strategia più valida per assicurare continuità e stabilità nelle produzioni e, nello stesso tempo, la diminuzione dei processi erosivi ed emissivi.

Utilizzando sistemi di agricoltura conservativi si riduce significativamente l’erosione del suolo con valori che oscillano dal 90% della semina diretta al 60% della lavorazione ridotta in confronto alla lavorazione convenzionale; inoltre migliorano la qualità delle acque superficiali per riduzione dei sedimenti terrosi sciolti in esse.

I residui colturali lasciati sulla superficie del terreno possono svolgere un’azione d’intercettazione dei nutrienti e dei pesticidi rendendoli nel tempo meno attivi e quindi non dannosi. Grazie a queste tecniche, si riduce il deflusso superficiale delle acque.

Confrontando i sistemi agricoli conservativi e quelli convenzionali risulta che: il deflusso superficiale si riduce del 69% nella semina diretta; la concentrazione degli erbicidi diminuisce del 70% e la quantità di sedimento terroso del 90% rispetto alla lavorazione convenzionale, con conseguente miglioramento della qualità delle acque.

Nell’agricoltura conservativa si ha un limitato utilizzo di fertilizzanti che sono distribuiti lungo i solchi o iniettati direttamente nel terreno. Il controllo delle erbe infestanti non richiede un’elevata quantità di erbicida nell’agricoltura conservativa rispetto a quella convenzionale dovuto al fatto che, le infestanti non trovano le migliori condizioni di sviluppo.

Tutto questo ha un senso solo se si migliora l’efficienza nell’utilizzo della risorsa idrica attraverso alcune misure, come il miglioramento dell’efficienza della rete di distribuzione, la messa a punto da parte dei consorzi di bonifica del controllo degli emungimenti dalle falde, l’aumento dell’efficienza dei sistemi irrigui e l’utilizzo di colture meno idroesigenti.

Bisogna fare squadra per ridurre le emissioni di gas serra, come in una partita di rugby, correndo in avanti, ma passando la palla indietro; guardando al futuro senza dimenticare le proprie origini.

Orazio Buonamico

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