\"\"Una serie di consumi generalizzati; le automobili di grossa cilindrata, gli elettrodomestici di ultima generazione, i viaggi all’estero creano l’illusione che, nel Bel Paese, esista un’uguaglianza di modi di vita e si abbiano identiche possibilità di divenire padroni dei propri atti. A prescindere dal “portafoglio”.
Sembra di leggere il racconto dello scrittore statunitense di fantascienza Robert Sheckley, in cui il signor Carrin si appresta ad acquistare l’ennesimo ritrovato della tecnologia. Senza, però, avere i soldi per farlo.
«Basta una firma qui, signor Carrin» ed avrà il diritto di godere i lussi e le meraviglie del momento. «Caro signore, oggi l’uomo medio vive come un re. Cento anni fa nemmeno l’uomo più ricco del mondo avrebbe potuto comprare ciò che ora possiede qualsiasi comune mortale. Non deve considerarlo un debito. E’ un investimento».
«E’ vero», rispose Carrin. Ma, col suo stipendio, non avrebbe potuto pagare quel debito (l’ennesimo) e mantenere contemporaneamente la famiglia.
Il racconto di Sheckley oggi è diventato realtà. I temuti rischi, cui l’uomo sarebbe andato incontro, se si fossero sviluppate certe tendenze negative, ora sono concreti e tangibili.
Oltre mezzo milione di famiglie italiane si trova in difficoltà. E’ l’effetto diretto del tanto decantato “credito al consumo”, da anni dilagante nel nostro Paese per l’acquisto di ogni tipo di prodotti o servizi, dalle automobili ai viaggi. Il ricorso al credito al consumo è passato, in Italia, da 48 miliardi circa di euro del 2002 a oltre 85,6 miliardi di euro del 2006, con un incre­mento del +78% (fonte Censis).
Come nel racconto di Sheckley, il “credito al consumo” ha creato una sorta di uguaglianza apparente, che maschera la disuguaglianza sostanziale (delle “tasche”). A conti fatti, l’aumento dei consumi, se si esclude la parte di esso che soddisfa i bisogni primari, non serve a costruire una società migliore. Anzi, la peggiora.
Se, fino ad un decennio fa, gli italiani erano un “popolo di risparmiatori”, oggi si sono trasformati nel cosiddetto “popolo delle rate”. Che non sempre riescono a pagare.
Il “credito al consumo” è, infatti, un fenomeno dai risvolti assai contraddittori. «Se da un lato – sottolinea il Censis nel suo 41esimo Rapporto annuale – sostiene il consumo, dall’altro, per le quote di famiglie che non lo utilizzano con la dovuta cautela ed accortezza, può fare insorgere problemi di sovraindebitamento, con progressivi costi non più sostenibili». Attualmente – riferisce il Centro di ricerca – delle tante famiglie italiane che hanno fatto ricorso “alle rate”, circa 143 mila non sono riuscite a pagarne almeno una. Mentre 530 mila famiglie hanno dichiarato di fare non poca fatica a pagarle con regolarità. Un dato certamente non insignificante e che non può lasciare indifferente il nostro legislatore.
Occorre intervenire subito a tutela del consumatore. Fissando, ad esempio, una soglia di indebitamento fisiologico (calcolato in percentuale sul reddito netto), superata la quale non può più essere erogato il “credito al consumo” (oggi sostanzialmente rimesso alla discrezionalità delle finanziarie).
Nel frattempo, ci si augura che il cosiddetto “popolo delle rate” reagisca come il protagonista del racconto di Sheckley. Alla fine, nella desolazione tecnologica, al signor Carrin, cui le macchine davano tutto, «non piaceva premere i bottoni».
Alfonso Masselli – Capitanata.it 

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