Roma. “Emofilia, quando la quotidiana normalità è possibile”. E’ il titolo del dialogue meeting andato in scena all’Istituto Sturzo a Roma e nato nel contesto delle innovazioni che aprono scenari promettenti per questa malattia rara che in Italia colpisce circa 5.000 persone (e la sua prevalenza mostra trend in crescita) tra emofilia di tipo A (4.000) e B (1.000), mentre i bisogni di cura si trasformano e diventano sempre più personalizzati.

 La patologia produce sanguinamenti eccessivi e prolungati, che possono essere spontanei o generati da traumi anche lievi, e che interessano in particolare le articolazioni e i muscoli che, a loro volta, producendo dolore, gonfiore e rigidità, oltre a lividi. In alcuni casi, inoltre, i fenomeni emorragici possono interessare le zone cerebrali producendo ulteriori danni e disabilità.

 L’iniziativa promossa dalla rivista di politica sanitaria regionale Rh+ Regional Health, con il contributo non condizionante di SOBI, ha visto la partecipazione di esponenti del mondo della politica e della sanità ed è stata la tappa finale di un percorso avviato da Rh+ Regional Health con una serie di forum dedicati alle esperienze regionali di Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Campania. Quattro territori differenti, per geografia, modelli organizzativi e visioni politiche, e scelti perché capaci di rappresentare un quadro realistico e completo dell’assistenza ematologica in Italia, grazie anche al dialogo tra istituzioni, medici, associazioni e cittadini.

 “L’emofilia è una delle aree della sanità pubblica in cui emerge con maggiore evidenza la necessità di un impegno convergente tra tutti gli attori del sistema: governance istituzionale, competenze cliniche altamente specialistiche, innovazione terapeutica e un forte coinvolgimento della comunità dei pazienti- ha detto Orfeo Mazzella, vicepresidente della commissione Sanità al Senato e co-presidente dell’intergruppo parlamentare Malattie Rare e Oncologiche- Solo attraverso questo approccio integrato è possibile garantire diagnosi precoce, presa in carico appropriata, equità nell’accesso ai trattamenti e, allo stesso tempo, ridurre i costi diretti e indiretti legati alla gestione della malattia”.

 Matteo Dario Di Minno, ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, ha sottolineato che “i successi clinici e l’impatto positivo delle terapie innovative sono strettamente legati anche alle capacità organizzative e alla collaborazione costruttiva e sistematica tra ospedale, territorio e istituzioni. È importante tendere a modelli organizzativi nei quali si valorizzi ciò che già funziona e si correggano le disomogeneità che ancora oggi determinano differenze da superare nei percorsi di cura e nell’accesso ai trattamenti”.

 Per Antonio Coppola, responsabile del Centro Hub Emofilia e Malattie Emorragiche Congenite dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma, “è fondamentale un costante monitoraggio dei bisogni assistenziali e delle risposte che vengono fornite, lavorando in rete affinché siano adeguate agli obiettivi terapeutici sempre più ambiziosi, grazie alle innovazioni, una rete di centri e professionisti in grado di assicurare la crescente multidisciplinarietà oggi richiesta, e un impegno congiunto con le istituzioni e le associazioni dei pazienti per una concreta programmazione con puntuali verifiche degli obiettivi raggiunti”.

 Dal confronto tra quanto accade in Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Campania emergono intanto 4 criticità comuni: la disomogeneità territoriale nell’accesso ai centri di riferimento; il mancato aggiornamento dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali che non includono le nuove tecnologie; l’assenza di sistemi integrati di monitoraggio a lungo termine; la sostenibilità economica rispetto all’innovazione che offre continue nuove soluzioni ai problemi di gestione delle patologie.

 Quattro sono anche le raccomandazioni e gli interventi più necessari: promuovere un piano nazionale emofilia in grado di uniformare i criteri di accesso, i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali e l’health technology assessment; rafforzare la rete territoriale e l’integrazione tra centri specialistici, medici di medicina generale e case di comunità; sostenere la ricerca clinica e la formazione continua; coinvolgere maggiormente pazienti e associazioni oltre a riconoscere il ruolo dei caregiver.

 Dalle associazioni dei pazienti e dalle organizzazioni civiche sono poi arrivate indicazioni per rendere concreta quella normalità quotidiana cui aspira il paziente emofilico: equità e omogeneità nella presa in carico, personalizzazione delle terapie in una logica di prossimità, diffuso e più agevole accesso all’innovazione all’empowerment dei pazienti. “Occorre creare le condizioni per rafforzare le capacità negoziali dei pazienti, promuovendo l’informazione ed educazione sanitaria, oltre che la loro partecipazione ai processi decisionali- ha detto il Dott. Lorenzo Latella di Cittadinanzattiva Campania- In questo senso, è fortemente auspicabile il coinvolgimento delle associazioni pazienti nel monitoraggio della qualità dei servizi e nella valutazione delle politiche di sanità pubblica”.

 Teresa Petrangolini, direttrice del Patient Advocacy Lab-ALTEMS Università Cattolica di Roma, ha evidenziato che “la centralità dei pazienti con emofilia per non essere una parola vuota deve trovare concretezza dando il giusto rilievo alla medicina di prossimità e costruendo percorsi di continuità assistenziale adeguati alle diverse fasi della vita dei pazienti. Mai più accessi impropri al Pronto Soccorso, ma innovazione organizzativa che aiuti a vivere una vita normale, attiva e fondata sul protagonismo dei pazienti”.