Domenica a Spello, vicino Assisi e a Spoleto, Walter Veltroni, in una delle tappe del processo di innovazione del Partito Democratico, ha spostato in archivio un altro pezzo di quel grande mosaico che rappresenta il socialismo storico. Anzi, a pensarci bene, lo ha musealizzato.
 
Dalla terrazza naturale di fronte al paesino medievale umbro, per il suo “Discorso all’Italia”, ha scelto lo sfondo tipico dei quadri di Norberto (pittore naif contamporaneo di Spello) , mandando in soffitta il glorioso Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, opera simbolo del XX secolo.
 
Nel cambio di icona, la sintesi di una rivoluzione subliminale. Non più la protesta o la rivendicazione di classe, ma il richiamo a un impegno, per la salvaguardia del paesaggio e delle radici come difesa delle proprie identità: storiche, culturali e territoriali. Non più il cielo buio della rabbia e del passato, ma l’azzurro reale, orizzonte del futuro, e il verde nature della speranza.
 
E’ un gioco raffinato di dettagli, che accompagna l’audacia di scelte inaspettate. E’ il tramonto ineluttabile delle masse, che lascia spazio ad una maggiore attenzione per la persona. L’applicazione filosofica conseguente all’incontro delle due forze politiche, espressioni del socialismo e del cristianesimo che, secondo le previsioni già di Aldo Moro, oggi si confondono per dar vita al Partito Democratico.
 
Walter Veltroni non è Giotto da Bondone, e magari neppure Picasso o Caravaggio,  ma le sue pennellate sanno di nuovo e, come diceva Giorgio Gaber, seguono “un’elaborazione logica e ragionata”. Rinnovare tutto facendo ricorso alla semplicità. Più facile a farlo, che a dirlo. Perché sono ancora in troppi ad esser sordi da quest’orecchio.
 
di Antonio V. Gelormini

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