\"\"Più di un miliardo e mezzo, tanti secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, saranno i viaggiatori che nel 2020 segneranno uno dei processi socio-economici più rilevanti di questo scorcio del nuovo millennio. In quest’ottica parlare di una singola realtà regionale è diventato anacronistico. La partita dei flussi turistici va giocata per macro-aree. I destini delle diverse destinazioni saranno sempre più legati alle sorti dei territori che le comprendono.
 
L’industria del turismo in Italia contribuisce, oggi, al 12% del Pil nazionale, gestisce il 10% dell’occupazione totale (con 2,3 milioni di occupati diretti e indiretti) e si presenta come il settore col più alto tasso potenziale di crescita, in ciascuno dei vari segmenti ad esso correlati.
 
Al di là delle registrazioni statistiche confortanti di micro-periodo, dei movimenti contingenti dell’alta stagione e delle nicchie di prodotto, come masserie, agriturismo e incursioni croceriste, la criticità del Mezzogiorno, in questo contesto affascinante, si esprime nella contenuta capacità attrattiva dei turisti stranieri. E quando ci si riesce, a beneficiarne sono in particolare sempre alcune tradizionali destinazioni (Il comprensorio di Taormina, il Golfo di Napoli e la costiera amalfitana, l’aerea di Palermo e così via), e non uniformemente l’intera area meridionale.  
 
Il dato Istat più recente ci dice che, nel 2004, gli stranieri in Italia hanno rappresentato il 41,7% degli arrivi e il 40,8% delle presenze (notti di soggiorno). In questi dati il Sud ha raccolto rispettivamente il 12,5% e il 14,1%. E che i suoi movimenti turistici sono ancora troppo influenzati dal pendolarismo locale. Infatti, al netto di arrivi e presenze dei viaggiatori residenti nello stesso Mezzogiorno, la quota di italiani che va in vacanza al Sud si ferma al 18,2%.
 
Il paradosso di due parametri, in particolare, può essere illuminante sulla situazione stagnante, bisognosa di un’inversione di tendenza, adeguata alle aspettative di un settore non secondario come il turismo. Il ridotto tasso di occupazione medio delle strutture alberghiere del Sud, nonostante una stagione estiva più lunga (28% contro il 33% del Centro-Nord). E il rapporto tra la spesa dei turisti stranieri e il Pil del Sud Italia, che si ferma al 1,2%; mentre in Trentino e Valle d’Aosta è addirittura al 9%.
 
I margini di crescita, con questi chiari di luna, sono a carattere esponenziale. Ben venga, allora, l’azione messa in essere dall’Assessorato al Turismo della Regione Puglia, col progetto della creazione di un Osservatorio turistico regionale, di una Consulta e di un Portale internet, nonché di un Consiglio permanente degli Assessori al Turismo regionali del Mezzogiorno.
 
Il solo avvicinarsi a risultati come quelli di Trentino e Valle d’Aosta consentirebbe all’intero Mezzogiorno di poter contare su risorse, provenienti dal turismo incoming, per oltre 25 miliardi. La competizione con i Paesi emergenti, i problemi inerenti la sicurezza, il rilancio della capacità di attrazione, si perseguono con un’azione di concerto dei diversi comprensori territoriali. Per questo, lo sviluppo del sistema economico-produttivo del Meridione non potrà prescindere dal qualificare e integrare lo sviluppo del suo minimo comune denominatore. Quel turismo che, spontaneamente e approssimativamente, raccoglie e propone il mare e l’entroterra, la storia e la tradizione, l’arte e la devozione, il bagliore della pietra e i sapori della terra, affidandoli all’innata capacità di accoglienza della sorridente gente del Sud.
di Antonio V. Gelormini

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