La quinta edizione del Festival di Film di Villa Medici si apre a settembre con una selezione di film internazionali proiettati in sala e all’aperto. Previsti anche incontri con registi e artisti che stanno reinterpretando il linguaggio dell’immagine in movimento. I giurati di questa edizione, Alain Guiraudie, Guslagie Malanda e Anri Sala, designeranno i due vincitori tra i 12 film internazionali in concorso.

 

Dal 10 al 14 settembre torna il Festival di Film di Villa Medici, che quest’anno raggiunge la sua quinta edizione e si conferma come uno dei luoghi più vitali del cinema contemporaneo, là dove le immagini incontrano l’arte, il pensiero e la ricerca più libera. Cinque giornate intense nella cornice unica dell’Accademia di Francia a Roma, tra proiezioni, incontri, anteprime e visioni sotto le stelle, in un dialogo continuo tra artisti, registi, pubblico e paesaggio.

 

Il festival, nato nel 2021 con l’intento di esplorare i territori di confine tra cinema e arte contemporanea, si distingue per un approccio aperto e audace: qui il cinema non è mai solo racconto, ma anche sguardo che scava, devia, interroga. Anche quest’anno, il programma conferma questa vocazione, articolandosi in tre linee principali: un concorso internazionale, la sezione Focus con incontri speciali e carte bianche, e le celebri proiezioni serali nel Piazzale, sotto il cielo di Roma.

 

Il cuore pulsante del Festival è, come sempre, il concorso internazionale, che riunisce dodici opere recenti da tutto il mondo, capaci di raccontare – con approcci, linguaggi e formati differenti – le tensioni, i desideri e le contraddizioni del nostro tempo. È una selezione eterogenea e profondamente libera, in cui convivono sguardi poetici e politici, invenzione visiva e riflessione critica, esperienze intime e affondi sociali.

Dalla Francia arriva +10K di Gala Hernández López, ritratto pungente di un ventunenne ossessionato dal successo facile e dal culto delle criptovalute, pronto a tutto pur di “ce la fare”. Sempre dalla Francia è anche Bonne journée di Pauline Bastard, che trasforma un laboratorio di oggetti di seconda mano in un sorprendente progetto collettivo d’arte partecipata.

Con un tono più lieve ma altrettanto profondo, Dieu est timide di Jocelyn Charles mette in scena un curioso incontro tra due passeggeri e una misteriosa donna in treno, in un delicato gioco di paure e confessioni. In Comment ça va?, invece, Caroline Poggi e Jonathan Vinel immaginano un mondo senza esseri umani, in cui otto animali si prendono cura l’uno dell’altro mentre cercano di superare i traumi lasciati dall’umanità.

Dal Libano, Children of Darkness di Haig Aivazian ci porta nei tunnel del potere e della memoria, tra found footage e animazione sperimentale, mentre il vietnamita Nguyễn Lê Hoàng Phúc firma Bury Us in a Lone Desert, un road movie anomalo e commovente su un ladro, un uomo in lutto e un viaggio inatteso.

Non manca la grande Storia, reinterpretata in chiave irriverente da Igor Bezinović in Fiume o morte!, racconto tra fiction e documentario punk dei mesi folli dell’occupazione dannunziana di Fiume. E c’è anche la storia personale e urbana di Hemel di Danielle Dean, girato in 16mm con attori non professionisti, in cui si esplora il volto nascosto di una città inglese cresciuta secondo i piani utopici del dopoguerra.

Con il monumentale O Riso e a Faca, Pedro Pinho ci conduce in Africa occidentale, dove un ingegnere portoghese si ritrova coinvolto in una rete di relazioni, sparizioni e nuove alleanze: un’opera ambiziosa che attraversa territori geografici e interiori. Di tutt’altro tenore è Lloyd Wong, Unfinished di Lesley Loksi Chan, che riunisce e monta i materiali lasciati dall’artista sino-canadese scomparso negli anni ’90, riflettendo sul senso dell’incompiuto, del tempo e della memoria.

Torna poi il paesaggio italiano in Paraflu, film firmato da Michela de Mattei e dal duo Invernomuto, che racconta, tra pellicola analogica e intelligenza artificiale, il ritorno del lupo nel Nord Italia come metafora del conflitto tra natura, tecnologia e identità.

Chiude la selezione The Hand That Feeds di Mtume Gant, presentato in anteprima mondiale: il ritratto intenso di un musicista hip-hop in crisi esistenziale, solo in una New York gelida e alienante, costretto a reinventare il proprio rapporto con il mondo e con sé stesso.

 

La giuria di questa edizione riflette perfettamente lo spirito trasversale del festival. A valutare le opere in concorso saranno il regista e scrittore francese Alain Guiraudie, la raffinata attrice e curatrice Guslagie Malanda e l’artista visivo Anri Sala, che con il suo lavoro ha ridefinito il rapporto tra suono, tempo e architettura. Oltre a designare il Premio Villa Medici per il Miglior Film e il Premio Speciale della Giuria, i giurati sono coinvolti anche in uno spazio di riflessione personale: ciascuno di loro ha infatti firmato una carte blanche, scegliendo film che dialogano con il proprio immaginario.

Per Guslagie Malanda, la selezione è un doppio affondo sulla violenza sistemica e sulla sua banalizzazione: Classified People (1987) di Yolande Zauberman ci riporta in Sudafrica, ai tempi dell’apartheid, dove l’assurdità della classificazione razziale distrugge famiglie e identità; La Frontière Bleue (2025) di Dinis M. Costa, invece, osserva con occhio implacabile l’indifferenza di una città costiera andalusa davanti a un naufragio di migranti. Due film che interrogano l’etica dello sguardo e il nostro grado di assuefazione al dolore altrui.

Anri Sala, invece, ci conduce in un’esperienza immersiva tra immagine e suono: la sua carte blanche si apre con Long Sorrow (2005), dove il sassofonista Jemeel Moondoc improvvisa sospeso nel vuoto di un palazzo berlinese, e si conclude con 1395 Days Without Red (2011), in cui una donna attraversa Sarajevo durante l’assedio, sulle note interiori di Čajkovskij. Al centro, una performance dal vivo del sassofonista André Vida, pensata come ponte tra cinema e presenza fisica, tra memoria e risonanza.

Quanto ad Alain Guiraudie, la sua carte blanche verrà annunciata nei prossimi giorni.

 

Accanto al concorso, il festival propone anche un articolato programma di proiezioni fuori concorso, tra cui spicca la partecipazione della regista Alice Diop, già giurata nella scorsa edizione, che presenta in anteprima il suo nuovo cortometraggio Fragments for Venus. Il film affronta la rappresentazione delle donne nere nella storia dell’arte, oscillando tra le sale del Louvre e le strade di New York, in un dialogo costante tra passato e presente. Al termine della proiezione, la regista incontrerà il pubblico per una conversazione sul senso del fare cinema oggi.

 

Nella sezione Contrechamps, il Festival propone un dialogo tra opere contemporanee e film storici, con una particolare attenzione ai lavori degli artisti e registi in residenza a Villa Medici. È qui che le immagini si confrontano tra loro senza gerarchie di formato o di genere, creando connessioni inattese tra politica, memoria, natura e appartenenza.

Thu Van Tran, borsista 2025-26, dà voce alle statue coloniali in The Yellow Speaks, mentre Ben Russell, anch’egli in residenza, ci porta nel Pacifico meridionale per raccontare il culto del cargo in Let Us Persevere…. Dal passato, arriva l’epica del reale firmata Werner Herzog con La Soufrière, viaggio dentro un’eruzione annunciata.

Tra i temi ricorrenti, il fenomeno migratorio trova spazio nel poetico Centro di permanenza temporanea di Adrian Paci e in Bab Sebta di Randa Maroufi, che osserva i confini come spazi di resistenza. Il cileno Enrique Ramírez, anch’egli borsista, firma con Deux faisceaux blancs… una sinfonia visiva sul mare e sulla luce, mentre Artavazd Pelechian in Les Habitants evoca un mondo abitato solo da animali, dove l’uomo è un’assenza inquietante.

Chiudono il programma Bingo Show di Christelle Lheureux, ironico fermo immagine sulla liturgia televisiva, e Chaque mur est une porte di Elitza Gueorguieva, in cui la fine del comunismo bulgaro è raccontata attraverso gli occhi di una bambina e le videocassette della madre.

 

Non meno attese sono le serate del Piazzale, appuntamenti sotto le stelle nella scenografia spettacolare dei giardini di Villa Medici, con una grande proiezione all’aperto ogni sera. Tra le anteprime di quest’anno, spicca il nuovo film di Laura Wandel, L’intérêt d’Adam, che affronta con delicatezza e intensità il tema della tutela dell’infanzia. Il film sarà proiettato giovedì 11 settembre, con il sostegno di CHANEL. Altra pellicola da non perdere è The Mastermind, il nuovo film di Kelly Reichardt, una delle voci più originali del cinema indipendente americano, che firma una riflessione sul fallimento e sul desiderio di reinvenzione.

 

Accanto ai film, il festival è anche un luogo di incontro, di scambio, di pensiero. Gli spazi della Villa accoglieranno dialoghi con registi e artisti, approfondimenti sul futuro del linguaggio cinematografico e occasioni di riflessione sull’immagine come strumento critico e poetico. Sarà possibile scoprire libri, grazie alla collaborazione con la Librairie 7L, e vivere una vera esperienza culturale immersiva.

 

Infine, quest’anno, il festival si arricchisce di un’ulteriore presenza artistica: a partire dal 10 settembre, la visiva Eva Jospin esporrà una serie di video inediti nello Studio Balthus, nell’ambito del programma Art Club curato da Pier Paolo Pancotto. Un altro modo per esplorare le potenzialità dell’immagine in movimento.

 

Dopo il successo della scorsa edizione, che ha riunito quasi 4.000 spettatori, Villa Medici si prepara a un nuovo viaggio dentro il cinema, tra linguaggi e sguardi che cambiano, restituendo incanto e complessità al nostro modo di vedere.