Un obiettivo puntato già da due o tre anni. Perché in genere le cose gli piace farle per bene, ma soprattutto perché per decisioni così delicate e così collegiali è risaputo che non c’è da lasciare spazio ad alcuna improvvisazione. Massimo D’Alema nel ruolo di Ministro degli Esteri europeo ci si era calato da tempo. Non fosse altro che per dimostrare l’abilità e la maestria acquisiti nel veleggio tra i venti della diplomazia, pari quasi a quella sua spontanea dimestichezza nel confezionare origami.

 

E’ innegabile, la stoffa e la tempra restano quelle di un predestinato, nonché del moderno e indiscusso “Migliore”. Nulla è stato lasciato al caso, perché il dilettantismo è pratica aborrita fin da quando portava i calzoni corti. Curiale e certosino il lavoro di preparazione svolto nel PSE. A lungo è stato la sponda autorevole di ogni ambizione, senza mai ricorrere all’evidente peso di rappresentante del maggiore partito nazionale, per alcuna azione rivendicativa. Contando di ritrovare, al momento opportuno, tutta la galassia socialista e democratica europea, unanimemente schierata a sostegno della sua candidatura ad Alto rappresentante dell’Unione, per la  Politica estera e la sicurezza comune (Mr. Pesc).

 

Un mosaico composto con pazienza, lungimiranza e metodo strategico. La cui tessera più importante resta la pagina significativa scritta dalla diplomazia italiana, due anni fa, all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Allorquando il Governo italiano raccolse onori e plauso per essere arrivato là dove nessuno era mai riuscito: l’approvazione con ampia maggioranza (104 sì, 54 contrari e 29 astenuti) della risoluzione sulla moratoria per la pena di morte. Una performance che impressionò molto gli Stati Uniti d’America e che valse all’allora Ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, la capitalizzazione di apprezzamenti da investire con mirata oculatezza sul fronte europeo.

 

L’intervento nel Kosovo prima e la Conferenza di Roma per la crisi Libano-Israele poi sono stati gli altri lasciapassare, utili all’acquisizione delle credenziali necessarie, per la tessitura costante e silenziosa di preziose relazioni internazionali.

 

A questo punto al Migliore non resta che un ultimo tassello da inserire, per fare di un disegno strategico un capolavoro. Mantenere un profilo discreto e continuare a modellare il suo origami. Mettere insieme un consenso così largo sul proprio nome, da rendere “corollario” naturale l’abbraccio e la firma che Silvio Berlusconi sta cercando, in ogni modo, di rendere determinanti in questa partita così significativa.

 

Passa anche dalla scelta di ripartire da figure carismatiche, capaci di rafforzare il peso decisionale e la personalità internazionale, il tentativo di forgiare un assetto più solido e influente per un’Europa più autorevole e meno evanescente. Massimo D’Alema, da questo punto di vista, “promette bene”!

di Antonio V. Gelormini

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