Roma. “Si parla spesso di fattori esogeni – dai dazi alla volatilità dei mercati fino al costo dell’energia – ma in Italia c’è un problema fondamentale di capitale umano”, è l’analisi di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A.
“Nel 2024 sono nati appena 370mila bambini- sottolinea- minimo storico dall’Unità (Istat, 2025). A ciò si affianca un altro primato: i Neet (Not in Education, Employment or Training), pari al 15,2% della fascia 15-29 anni, sono circa 1,34 milioni (Istat, 2025). La questione non è solo demografica. Secondo l’Ocse Employment Outlook 2025, il nostro Paese ha registrato il calo più significativo dei salari reali (-7,5%) tra le principali economie avanzate. In parallelo, la World Bank rileva che negli ultimi vent’anni la crescita annua media del Pil pro capite italiano si è attestata attorno allo 0,4%, meno della metà della media Ue (circa 1%)”.
“Per quanto riguarda l’innovazione- dice ancora- l’Italia destina soltanto lo 0,03% del Pil al venture capital, a fronte di quote molto superiori in Usa e Corea del Sud (Banca d’Italia 2025; Eif 2024). Da notare che le famiglie italiane, con una ricchezza netta pari a 11.000 miliardi, destinano solo una quota minore alla componente finanziaria: azioni e partecipazioni valgono infatti complessivamente 5.200 miliardi (Banca d’Italia, 2023)”.
“Bisogna agire su tre punti- spiega Livolsi- Il primo è il sistema istruzione-università-rapporto scuola-lavoro: va colmato il gap con gli Stati del Nord Europa e ridotta la dispersione scolastica (9,8%), oggi superiore alla media Ue (9,3%). Nella mia esperienza di docente alla Link Campus University vedo la volontà dei giovani di restare a lavorare nella loro nazione, ma anche come questa venga frenata da ostacoli concreti: difficoltà a trovare un impiego qualificato, mobilità abitativa, costo della vita. Non stupisce la fuga di negli ultimi dieci anni oltre 90.000 unità (Istat, Migrazioni 2024). Il secondo è la ricerca e innovazione: l’Italia investe l’1,5% del Pil in R&S, contro il 2,22% medio Ue e ben sotto l’obiettivo europeo del 3%.
Anche i brevetti raccontano il divario: l’Italia continua a depositare domande, ma resta lontana dai livelli di Germania e Francia. A ciò si aggiunge l’instabilità normativa: il credito d’imposta R&S, introdotto nel 2013 e più volte modificato con l’obiettivo di migliorarlo, ha finito per generare incertezza tra le imprese, complice la scarsa chiarezza – quando non l’assenza – delle norme applicative. Il terzo è la finanza per la crescita. La capitalizzazione di Borsa nel Belpaese è circa il 38% del Pil, contro livelli ben più alti in Francia e Germania. Nel 2024 gli investimenti di private equity e venture capital hanno raggiunto 14,9 miliardi di euro (Aifi, 2025), restando comunque ben al di sotto dei livelli dei principali mercati europei. Senza un canale che trasformi più risparmio in capitale per le imprese, non potrà esserci crescita sostenibile” conclude Livolsi.