incontro26agostowebLa cooperazione produce l’8% del Pil nazionale, ha 12 milioni di soci in tutto il Paese, è cresciuta durante la crisi e dà lavoro a 1,2 milioni di persone, ma deve crescere in dimensione e sotto il profilo gestionale e amministrativo per competere e stare sul mercato. È la prospettiva indicata dai relatori di “Dove va la cooperazione?” quarto e ultimo incontro di €conomia sotto l’ombrellone 2015, conclusasi ieri a Lignano Sabbiadoro (UD). Sergio Emidio Bini, presidente di Euro&Promos Group, Franco Bosio, presidente di Confocooperative Fvg ed Eugenio Sartori, direttore dei vivai cooperativi di Rauscedo hanno concordato nel sottolineare quelli che sono i punti deboli del settore cooperativo, su cui bisogna lavorare per consolidare la propria struttura e il proprio business; condizioni, queste, per continuare a svolgere la propria missione sociale.

«La cooperativa è una società che non ha capitale, non remunera il capitale e che reinveste in azienda tutto l’utile prodotto –ha spiegato Franco Bosio, che guida una federazione che rappresenta 700 cooperative con 21 mila addetti a livello regionale–. Se questo da un lato è un vantaggio, dall’altro crea problemi di crescita, perché rende difficile ottenere finanziamenti dal sistema bancario e ancor più dai fondi di investimento. D’altra parte le cooperative sono aziende che nascono sul territorio, che vivono nel e per il territorio e non delocalizzano mai il lavoro, anche a costo di qualche svantaggio concorrenziale. Certamente, poi, esiste un problema di crescita dimensionale; basti pensare al sistema della grande distribuzione dove le coop stanno cercando di aggregarsi per meglio competere con le grandi multinazionali presenti sul mercato italiano o al sistema delle Bcc, accusato di soffrire di nanismo per essere competitivo e che sta studiano le forme possibili di crescita e aggregazione».

«Certamente – ha sostenuto Eugenio Sartori, che dirige una cooperativa con 85 anni di storia e di gran lunga leader mondiale nella produzione di barbatelle con 70 milioni di pezzi venduti nel 2015 – molte cooperative soffrono di nanismo, di scarsa capitalizzazione e di un difficile accesso al credito, ma non sempre è così. Ci sono sempre più cooperative che nel tempo hanno saputo capitalizzarsi, innovare e crescere. Ci sono, inoltre, sempre maggiori dimostrazioni di intelligenza da parte della dirigenza cooperativa che sta dando vita a unioni e fusioni per ottenere le dimensioni necessarie ad aggredire adeguatamente il mercato interno e internazionale. In questo modo non solo le grandi cooperative riescono a garantire lavoro sul territorio, ma spesso anche a investire, non delocalizzando, in altri territori, talvolta magari anche all’estero, come abbiamo fatto noi in Francia e in California».

«Sono passati oltre 170 anni dalla nascita delle prima coperativa moderna –ha detto Bini, che guida una cooperativa di servizi con oltre 5000 lavoratori e 100milioni di fatturato-, ma il mondo cooperativo è ancora in parte sconosciuto, circondato da un lato da un alone di critica pregiudizievole dovuta per lo più a ignoranza, dall’altro da una glorificazione acritica. Ci si dimentica troppo spesso che le coop sono prima di tutto imprese che devono stare sul mercato. Ci sono, poi, almeno tre false credenze sul nostro mondo che sento ripetere spesso. La prima è l’idea che le cooperative debbano essere per forza piccole altrimenti non sarebbero cooperative e verrebbe meno alla loro funzione sociale. Falso perché le coop, come tutte le imprese, devono avere le dimensioni adatte a stare sul mercato in cui operano e la dimensione non fa venir meno il loro valore sociale. Il secondo è che le cooperative fanno concorrenza sleale alle altre imprese perché godono di vantaggi fiscali e di costi. Se ciò poteva essere parzialmente vero venti e più anni fa, oggi non è più così. Terza falsa credenza è l’idea che la cooperazione pesi poco sull’economia. L’8 per cento del Pil, la continua crescita durante la crisi sono lì a dimostrare che il nostro è un mondo tutt’altro che irrilevante».

Respinti con forza dai tre relatori gli attacchi piovuti sul mondo cooperativo tout court dopo gli scandali balzati alle cronache nei mesi scorsi: «Non è accettabile che quando un’industria, un artigiano, un commerciante finisce nei guai con la legge, nessuno si sogni di mettere in discussione il sistema industriale, artigianale o commerciale, mentre quando è una cooperativa a comportarsi in modo sbagliato e da condannare, immediatamente si metta in discussione l’intero mondo cooperativo».

Non esiste un problema di legalità specifico del mondo cooperativo – ha aggiunto i tre relatori – e non c’è bisogno di inventarsi particolari e nuovi organi di controllo perché da un lato le cooperative, come qualsiasi azienda, sono sottoposte ai controlli prescritti dalla legge per chi opera nell’economia, dall’altro le federazioni cooperative hanno già controlli e strumenti per allontanare le mele marce. «Esiste, purtroppo – hanno aggiunto –, un problema più generale di mancanza di cultura della legalità e di diffusione della corruzione nel Paese che va affrontato alla radice, ma che non può essere addossato a questo o quel sistema economico e organizzativo. E per dare un’immagine più corrispondente alla realtà il mondo cooperativo deve attrezzarsi a comunicare di più e meglio».

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