Piccole modifiche normative per trasformare l’industria finanziaria in un motore per un’economia di pace, la transizione ecologica e lo sviluppo dell’economia sociale

 

Padova, 29 aprile 2024 _ In decenni di storia la finanza etica è cresciuta moltissimo in tutta Europa, unendo risultati più che positivi dal punto di vista economico e finanziario con una piena coerenza nei valori e nei principi che la definiscono e che da sempre ne guidano le scelte. Alla luce di questa coerenza, legittimità e credibilità il Gruppo Banca Etica, membro fondatore della Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative FEBEA, formula alcune proposte concrete da mettere al centro dell’agenda europea dei prossimi anni per rispondere a tre delle maggiori sfide che l’Unione deve affrontare: la promozione della pace, la lotta ai cambiamenti climatici, il sostegno e la promozione degli attori dell’economia sociale.

 

In vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, il Gruppo Banca Etica propone a tutte le persone che si candidano ad essere elette al Parlamento Europeo un confronto su misure legislative che – incidendo sul sistema finanziario – possano favorire la pace, la tutela dell’ambiente e la crescita dell’economia sociale.

 

Finanza per la pace 

Gli investimenti in armi non possono essere dichiarati sostenibili; più trasparenza sul ruolo delle banche nel commercio di armamenti

L’intensificarsi dei conflitti – con l’aggressione della Russia all’Ucraina e con il conflitto in corso a Gaza – ha portato a una corsa al riarmo che impegna non solo la spesa pubblica ma regala profitti stratosferici ai produttori di armi, alle banche e alle società di investimento che li sostengono. Il movimento della finanza etica chiede che un settore delicato come quello della produzione e commercio di armamenti – che impatta violentemente sui diritti umani e sugli equilibri geopolitici e che, secondo il Sipri, è responsabile di oltre il 40% dei fenomeni di corruzione globale – sia sottoposto a regole speciali e rafforzate di trasparenza. La finanza etica, da sempre, esclude categoricamente qualsiasi finanziamento o investimento nell’industria bellica. Non chiediamo che tutto il sistema finanziario adotti questa regola, ma chiediamo che gli investimenti in armi siano esclusi da qualsiasi definizione di finanza sostenibile, contrariamente a quanto affermato di recente dai ministri della difesa dell’Unione.

Nel frattempo, in Italia il Governo ha deciso di smantellare la legge 185 del 1990 che regolamenta l’export di armi italiane nel mondo: se le modifiche saranno approvate i cittadini e il Parlamento non avranno più accesso alle informazioni sulle esportazioni di armi e su quali banche finanziano con profitto tali operazioni.

 

Chiediamo al prossimo Parlamento Europeo di varare una norma comunitaria che imponga alle banche e alle istituzioni finanziarie trasparenza sui loro affari con il commercio di armamenti. I cittadini e i risparmiatori così come le istituzioni devono sapere se la propria banca utilizza il loro denaro per finanziare commerci di armi non sempre trasparenti.

Anche una seria azione di contrasto ai paradisi fiscali andrebbe nella direzione di limitare le operazioni finanziarie meno chiare a supporto delle forniture di armi, oltre a reperire risorse per le politiche pubbliche più urgenti di cui l’Unione ha bisogno.

 

Finanza per l’ambiente

Rendicontare gli impatti avversi; percorsi vincolanti per chi si voglia dichiarare net zero 

Il ruolo della finanza nell’indirizzare l’economia verso modelli e soluzioni a basse emissioni ambientali è ormai riconosciuto da tutti. L’UE ha già fatto molto in questo campo: gli sforzi si sono purtroppo diluiti nel corso dei lavori e perfino gli investimenti sul gas e sull’energia nucleare vengono ormai qualificati come sostenibili. Molti studi hanno messo in luce dilaganti fenomeni di greenwashing da parte di istituzioni finanziarie che a parole dichiarano impegni verso la sostenibilità, ma continuano a finanziare massicciamente le fonti fossili.

 

I maggiori 60 gruppi bancari – spesso gli stessi in prima fila nel magnificare la propria “sostenibilità” – hanno fornito cinquemila cinquecento miliardi di dollari all’industria dei combustibili fossili negli ultimi sette anni,.

 

Alcune modifiche normative potrebbero invertire la rotta:

  • Rendicontare gli impatti negativi: oggi i fondi sostenibili, ai sensi della normativa europea devono giustamente riportare l’elenco dei principali impatti negativi (Principal Adverse Impacts o PAI); i fondi che non si dichiarano sostenibili invece non devono rendicontare nulla. È necessario imporre che ogni prodotto finanziario fornisca anche informazioni sui propri impatti negativi.
  • Criteri vincolanti per chi si voglia dichiarare “net zero”: negli ultimi anni sono proliferate iniziative volontarie di banche e imprese che dichiarano di voler azzerare le proprie emissioni, ma spesso queste si sono tradotte in un fallimento a causa di diversi “trucchi”, come quello di misurare solo le emissioni dirette delle banche.

Un tema centrale da affrontare per la prossima Commissione europea sarà quello di definire criteri stringenti e trasparenti, con obiettivi e tappe verificabili, per chi voglia intraprendere un percorso verso le zero emissioni nette. Emerge un forte bisogno di un quadro normativo vincolante per affrontare il greenwashing in tutte le sue forme. Non è possibile continuare ad assistere inerti al proliferare di iniziative arbitrarie in cui l’obiettivo centrale sembra essere solo quello di proteggere la reputazione delle banche e delle imprese, non certo del pianeta.

 

Finanza per l’economia sociale e la lotta alle diseguaglianze

Basta penalizzare le imprese sociali nell’accesso al credito

Le istituzioni europee dichiarano di voler sostenere lo sviluppo dell’economia sociale del continente e dei suoi protagonisti, come previsto dal recente Action Plan. L’accesso al credito è una leva fondamentale per la crescita e il consolidamento di queste imprese ma le attuali normative europee sembrano rispondere esclusivamente ai bisogni di multinazionali e grandi imprese.

È, pertanto, opportuno smettere di penalizzare le banche impegnate nel sostegno delle organizzazioni e delle imprese impegnate nella promozione dell’inclusione sociale.

Il Gruppo Banca Etica, a tal proposito, propone di cambiare i requisiti di assorbimento patrimoniale: molte realtà dell’economia sociale sono ingiustamente classificate in automatico come ad alto rischio e per questo sottoposte a un assorbimento di capitale del 100%. Il mondo dell’economia sociale ha dimostrato una solidità e resilienza pari se non superiore rispetto a quella degli altri settori economici “convenzionali”. Non si ravvisano, infatti, ragioni tecniche che giustifichino tale penalizzazione. L’introduzione di un social supporting factor che riduca l’assorbimento di capitale per le realtà dell’economia sociale costituirebbe uno strumento fondamentale.

In aggiunta a ciò, negli ultimi anni le istituzioni europee si sono mosse con decisione per chiedere alle banche di ridurre l’esposizione in prestiti in sofferenza o problematici (cosiddetti Non Performing Loans o NPL). Sebbene l’obiettivo in sé risulti condivisibile, le misure adottate in tal senso rischiano di avere pesanti ricadute sul sistema produttivo, in particolare su chi già oggi ha maggiori difficoltà ad accedere al credito e ai servizi finanziari. È, infatti, necessaria oltre che urgente una normativa che tuteli – pur pretendendo chiarezza, prudenza e trasparenza- le modifiche ai contratti originali di finanziamento affinché venga garantita la normale elasticità richiesta a una banca che si relazioni con clienti in momentanea difficoltà. Si tratta di una misura imprescindibile per mantenere vivo il sostegno degli operatori finanziari all’economia sociale e ai suoi protagonisti.