Ogni tanto riappare silenziosamente e in semitrasparenza l’opera di chi ha puntato i riflettori sui borghi vecchi e diroccati, sulle cattive strade tra i vinti e le prostitute, tra gli emarginati e gli oppressi, zingari e transessuali, di chi ha fatto cantare i drogati e parlare chi nella storia non ha mai agito, ma è agito dalla storia stessa. È l’opera di Fabrizio De Andrè, che scruta in modo epidermico e senza inibizioni gli angoli più oscuri e inaccettabili di questo mondo. Con l’ausilio della parola poetica di forza espressivo-immaginativa dipinge volti, caratteri, sguardi, dialoghi, restituendo verosimiglianza al teatro della vita che è inverosimile, dove il particolare e il soggettivo divengono specchio universale e immagine di un mondo che soffre, gioisce e vive la bellezza della sua imperfezione.
L’ormai celeberrimo cantautore genovese, morto nel gennaio del 1999, la cui produzione discografica abbraccia un periodo di quasi quarant’anni di attività artistica (incidendo tredici album in studio più una serie di brani inediti pubblicati in raccolte postume), continua a vivere e far rivivere nel presente le sue storie di incredibile attualità.
Faber non è solo colui che ha collaborato con artisti italiani di eccelsa portata, combinando la scarna e melanconica ballata alla francese di Brassens all’intimismo sinuoso di De Gregori, al rock ruvido di Massimo Bubola e Mauro Pagani, ai suoni vivaci e fluenti di Ivano Fossati, per citarne solo alcuni, ma è colui che porta e propaga in Italia la musica dei grandi cantautori stranieri emergenti traducendo e reinterpretando i brani di un Bob Dylan e un Leonard Cohen. Inoltre, è doveroso encomiare le profonde ricerche di riqualificazione e restituzione linguistica alle diverse realtà italiane con espressionistici toni dialettali o ricucendo remoti testi poetici a nuove sonorità.
Rivolta ai grandi cultori del Faber, o a chi non ha ancora avuto la fortuna di perdersi nei suoi racconti e nella sua musica, al museo dell’Ara Pacis la grande mostra romana dedicata a tutta la vicenda artistica e umana di De Andrè. La mostra, inaugurata lo scorso 24 febbraio a pochi giorni dall’anniversario di nascita di Faber, che avrebbe compiuto il 18 febbraio 70 anni, sarà visitabile fino al 30 maggio. Si tratta di un’esperienza suggestiva e indimenticabile per l’osservatore che, percorrendo un vero e proprio tracciato multimediale, virtuale, sensoriale, diviene esso stesso parte attiva dell’opera.
 
R.G.
 
 
 
Ideatori e curatori del percorso/mostra sono gli artisti del noto gruppo milanese di videoarte Studio Azzurro, ed altre notevoli personalità come Vincenzo Mollica, Pepi Morgia, Vittorio Bo e Guido Harari.
Di grande impatto risultano i “tarocchi”, già utilizzati dall’importante scenografo Pepi Morgia, che ha curato da art director l’ambientazione della tournée dell’album Le Nuvole nel 1991. Sono tarocchi virtuali contenenti le personificazioni di “caratteri” dei personaggi deandreani, quali Carlo Martello, Geordie, il Pescatore, il Suonatore Jones, il Bombarolo, ecc… nei quali ognuno di noi può immedesimarsi creando un tarocco per mezzo di una lavagna touch-screen. È possibile realizzare o modificare il proprio tarocco anche sul sito della mostra: www.fabriziodeandrelamostra.com.
Possiamo dunque per pochi minuti divenire “doppiamente” opera d’arte: Opera di Studio Azzurro, interagendo con il percorso istallato dagli artisti; opera musicale di De Andrè, identificandoci, tramite il geniale espediente del tarocco, nei suoi personaggi. (R.G.)

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