Anna Romanin ci racconta cosa ha voluto dire per lei partecipare al progetto Global Volunteer di AIESEC ad Eskişehir, in Turchia.

Anna Romanin è una ragazza italiana come tante altre. Una studentessa del secondo anno di Beni Culturali all’Università di Ca’ Foscari a Venezia, che quest’estate ha deciso di prendere e partire per 6 settimane e andare in Turchia, precisamente a Eskişehir, per partecipare al progetto Global Volunteer di AIESEC. Oggi, ha deciso di raccontarci la sua esperienza.

Come mai hai deciso di partecipare al progetto Global Volunteer?

“Sono sempre stata una ragazza un po’ insicura, ho sempre fatto molto affidamento al giudizio che gli altri avevano su di me, ma ho sempre cercato di migliorare questa mia debolezza. Partecipando a questo progetto volevo mettermi alla prova e vedere cose ne sarebbe uscito, se sarei migliorata.”

Perchè pensi che questo tipo di esperienze di volontariato all’estero siano importanti?

“Perchè ti danno la possibilità di vivere una nuova cultura, e vedere la vita da punto di vista diverso. Tutto d’un tratto ti ritrovi con te stesso e impari a conoscerti meglio.

Sicuramente questi tipi di viaggio ti danno la possibilità di vedere cose nuove e aprire la mente.”

In cosa consisteva esattamente il tuo progetto?

“Il mio progetto era legato al Goal n. 4 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: Educazione di qualità. Insegnavo inglese in una scuola elementare in un quartiere povero di Eskişehir. Essendo estate però la scuola non era quella ordinaria, ma i ragazzi frequentavano una sorta di campo estivo, quindi oltre alle lezioni frontali c’erano molte più attività educative e di gioco. Infatti, alcuni giorni facevo lezione in classe insegnando il lessico inglese base, come il corpo umano, i colori e quello che riguarda il tempo, mentre il resto del tempo organizzavo attività di gioco, come bandierina in inglese, o corsi educativi, come quello di ceramica.”

Quale è stata la prima impressione quando sei arrivata in Turchia?

“All’inizio ero un po’ spaventata, non sapevo bene cosa aspettarmi, non avevo ben chiaro che tipo di mentalità avessero i Turchi e, per quello che avevo sentito dire, mi aspettavo delle persone chiuse. Quello che ho trovato  invece è un paese molto sicuro, data l’alta presenza di polizia, ma anche molto multiculturale. Devo dire che in generale sono persone molto generose e vogliono aiutarti anche per le piccole cose, come le indicazioni stradali.

Una cosa che mi ha colpito fin da subito è che i turchi non si sentono a proprio agio a fare domande dirette per conoscerti meglio.”

Hai fatto fatica ad ambientarti all’inizio?

“Per fortuna sono riuscita a sentirmi subito a casa, sono una che si adatta subito, ma questo è stato possibile soprattutto grazie alla mia host, ovvero la signora che mi ha ospitata per le 6 settimane, e al mio buddy, colui che potevo chiamare ogni volta che avevo una difficoltà, ma in generale tutti erano molto disponibili. Intorno a me si è creata come una specie di protezione per cui non potevo sentirmi sola. Ora sento di avere una famiglia che vive a 2000 km di distanza.”

Quale è stato il momento più bello dell’esperienza?

“Di momenti belli ce ne sono stati tanti. Se dovessi sceglierne uno penso sarebbe il viaggio che avrei dovuto fare per 1 settimana in giro per la Turchia dato che la scuola sarebbe rimasta chiusa. Dico avrei dovuto perché, purtroppo, è durato solo 2 giorni. Non ero in viaggio da sola, ma con due ragazzi algerini e una ragazza portoghese e purtroppo dopo la prima tappa a Bursa, mentre stavamo aspettando il pullman notturno per Izmir, alla ragazza è arrivata una chiamata dal Portogallo e ha scoperto che suo nonno era deceduto. Voleva tornare a tutti i costi in Portogallo per il funerale e abbiamo deciso di abbandonare tutto e aiutarla a raggiungere in tempo il primo volo che partiva da Istanbul il giorno dopo. Non l’avrei mai lasciata andare da sola, e anche gli altri ragazzi erano d’accordo. Alla fine ognuno ha fatto la sua parte, mentre lei guardava i voli, io guardavo come arrivare a Istanbul e i ragazzi cercavano un hotel per la notte. Penso che sia stato uno dei momenti più belli perché abbiamo stretto un sacco i rapporti e siamo riusciti a conoscerci meglio. Personalmente ho capito che l’unione fa la forza.”

E il più difficile?

“Farsi capire dai bambini è stato difficilissimo anche perché spesso mi parlavano in turco pensando che io capissi. Per fortuna abbiamo trovato un modo nostro per intenderci che trasmetteva più l’idea di quello che volevamo dirci, tramite piccole parole in inglese e le pochissime parole di turco che ho imparato e disegni, piuttosto che fare discorsi completi.

L’idea mi faceva piacere ma non farmi capire mi faceva salire il nervoso. La cosa bella comunque è che i bambini si sono sempre sforzati al massimo per farsi capire e farmi vedere che apprezzavano il lavoro che facevo per loro.”

Quale è stato uno degli insegnamenti che hai tratto da questa esperienza?

“Ho capito che Anna si poneva tanti limiti. Ero la prima a dubitare di quello che facevo. Ma ho imparato che so cavarmela, io ero il mio unico limite in quello che potevo e volevo fare.”

Come è stato il rientro in Italia?

“Un disastro! Molto difficile, ho fatto fatica a staccarmi dall’altra realtà, e ho avuto molta paura di perdere le persone che ho conosciuto in Turchia. Avevo anche paura di poter tornare indietro e perdere tutti i miglioramenti e progressi che avevo fatto sulla mia persona, volevo continuare a essere la Anna che ero in Turchia. Ma dopo due mesi in Italia, ora mi trovo bene, ho capito che non dovevo avere paura, la Turchia per me è stato un terreno fertile, ora posso andare solo che avanti.”

Dopo questa esperienza, quale pensi sia il ruolo dei giovani nel futuro e perché?

“Mamma, che domanda difficile! Penso che il nostro ruolo sarà quello di dare energia e portare cambiamento al mondo. La nostra è una generazione molto fortunata, perché ha avuto e sta avendo tantissime possibilità di arricchirsi a livello culturale e capire il mondo. Sono quindi sicura che porterà tanta innovazione cercando sempre di essere il più concreti possibili.”

Cosa ti senti di dire alle persone che stanno pensando di fare un’esperienza simile?
“Partite. Più siete indecisi, più vi conviene buttarvi. Bella o brutta che sia l’esperienza  , sicuramente si torna sempre cambiati.”

Se anche tu come Anna vuoi conoscere meglio te stesso e uscire dalla tua zona di comfort, vai al sito aiesec.org e candidati per partire oppure chiedi maggiori informazioni a