Lettera di Di Marco a Nordio: Proposta inadeguata, mancano concorrenza e IA
Bologna. Stop all’attuale iniziativa di disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento forense. E avviare un percorso di confronto con tutte le componenti dell’avvocatura, per dare vita a una reale riforma dell’ordinamento professionale. È quanto chiede il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Giampaolo Di Marco, in una lettera aperta inviata al ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
La “nostra Associazione, pur auspicando una profonda riforma della vigente legge professionale, ritiene che la proposta diffusa sia inadeguata rispetto alle esigenze della professione e del mercato legale”, scandisce Di Marco. “La proposta è, infatti, ispirata a una idea obsoleta della professione di avvocato, tesa alla conservazione dell’esistente e al consolidamento di tutte le peggiori incrostazioni corporative presenti nella vigente legge professionale”, prosegue. “Sotto molti aspetti, questa proposta è una mera risistemazione della vigente legge professionale, in cui l’unica novità di rilievo è il superamento del divieto di terzo mandato” negli incarichi dell’Ordine. Per il resto, “la proposta sposa una visione ottocentesca della professione, interamente concentrata sulla difesa in giudizio”. Questa proposta “non è ciò che l’avvocatura vuole e non è ciò di cui il mercato della professione legale ha bisogno”, manda a dire Di Marco. “Ciò che sarebbe necessario è un intervento di modernizzazione delle istituzioni forensi e una profonda riscrittura delle regole sull’esercizio della professione, che vada nel senso della concorrenza, della liberalizzazione e della espansione in nuovi ambiti di consulenza legale. Ossia, esattamente il contrario di ciò che è contenuto nella proposta”, lamenta il segretario generale.
Fra i principi generali che vengono indicati, compare “inspiegabilmente una previsione secondo la quale l’ordinamento forense dovrebbe ‘ripristinare l’istituto del giuramento dell’avvocato’. Come noto, l’istituto del giuramento è stato sostituito con quello dell’impegno solenne”. Ciò è avvenuto, ricorda Di Marco, dopo che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto l’obbligo di giuramento lesivo della libertà di coscienza. “Pensare di ripristinare oggi l’istituto del giuramento, sostituendolo a quello dell’impegno solenne, significa riportare l’orologio dell’avvocatura indietro di molti decenni”, aggiunge.
Inoltre, “manca del tutto l’affermazione di un principio di libertà del professionista di promuovere le sue attività ricorrendo alla pubblicità”. Non Nello schema di disegno di legge delega è previsto che l’esercizio dell’attività professionale in forma collettiva avvenga mediante la partecipazione ad associazioni, reti professionali o società tra avvocati. In questo modo si sposa ancora una volta un modello superato e scarsamente dinamico di disciplina delle aggregazioni”. Come se non bastasse, “si prevede un regime di incompatibilità che sostanzialmente riproduce quello previsto dalla attuale legge professionale, con alcune modeste estensioni”. Attuale regime che “costituisce un ostacolo allo sviluppo della professione e alla possibilità per gli avvocati di ampliare il campo delle loro attività e rappresenta uno dei fattori di progressiva erosione degli ambiti professionali e pone gli avvocati in situazioni di svantaggio competitivo rispetto ad altri professionisti e attori presenti sul mercato”. Sarebbe “quindi necessaria- sostiene Di Marco- una radicale modifica della disciplina delle incompatibilità rispetto all’impostazione totalmente proibizionistica”.
Nello schema di disegno di legge delega, dice ancora Di Marco, “si prevede l’introduzione di un sistema elettorale per l’elezione dei consiglieri dell’Ordine che preveda l’ineleggibilità dopo lo svolgimento di tre mandati consecutivi, della durata ciascuno di tre anni, elevando quindi il numero di mandati esperibili a tre rispetto ai due previsti dalla attuale legge professionale”. Il limite di due mandati “ha avuto negli ultimi anni un ruolo importantissimo nel garantire il rinnovamento democratico delle cariche e l’ipotesi di un suo depotenziamento con estensione a tre del numero massimo di mandati appare essere irricevibile”, insiste Di Marco. Stesso discorso per il Consiglio nazionale forense, poiché anche in questo caso viene introdotta la possibilità di un terzo mandato.
“A ciò aggiungasi che la proposta di riforma non contiene alcuna disposizione, neanche in forma indiretta, che affronti il tema dell’uso di strumenti di intelligenza artificiale nella professione forense”. Una mancanza che Di Marco non esita a definire “sorprendente”.
In ogni caso “si auspica che il Governo voglia considerare la riforma forense come riforma necessariamente autonoma rispetto alla paventata integrale riforma delle professioni, attesa la necessità di autonomia della funzione dell’avvocato all’interno della giurisdizione e in generale della giustizia”. La “specificità del nostro ruolo, anche prescindendo dall’inserimento in Costituzione, involge caratteristiche precipue nell’esercizio della professione forense difficilmente compatibili, per molti tratti, con quelle di altre categorie professionali”, conclude Di Marco.