Edifici nuovi a emissione zero entro il 2030 ed efficientamento energetico per quelli già esistenti, con l’obiettivo di annullare il loro impatto ambientale entro il 2050, attraverso interventi mirati e graduali: classe energetica E entro il 2030 e classe D entro il 2033. Questo quanto previsto della nuova direttiva europea, perseguendo la pianificazione green per ridurre le emissioni per la salvaguardia del pianeta.

 

Direzione nobile e di grande prospettiva futura da cui, però, emergono criticità e difficoltà attuative. Ad accendere i riflettori sul tema è Alessandro Amaro, presidente della Federazione Architetti Sicilia (che riunisce gli iscritti dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori delle provincie di Palermo, Catania e Trapani). «I dettami comunitari – spiega – non possono essere estesi uniformemente in tutti i Paesi che fanno parte dell’UE, in quanto il livello del costruito e del patrimonio dei centri storici non è uguale. Nazioni come la nostra, ma anche Spagna e Grecia, per esempio, presentano un patrimonio strutturale e artistico su cui è impensabile poter effettuare interventi invasivi, rischiando di farne perdere valore storico e culturale».

 

Se questo può rappresentare già un valido motivo per apportare modifiche alla norma, Amaro individua un ulteriore aspetto da non sottovalutare, strettamente legato alla sicurezza. «Molti degli edifici del nostro Paese risalgono al dopoguerra e, ancora prima della sfida ambientale, devono confrontarsi con il forte rischio sismico che accomuna gran parte dello Stivale, la Sicilia in primis. Un elemento meno presente in altri territori, ma che deve essere la base di partenza della nuova progettazione o degli interventi da effettuare – continua Amaro – in alcuni casi valutando anche la possibilità della sostituzione o demolizione».

A cascata, il presidente della FAS pone l’accento su altre due importanti riflessioni. La prima legata al diverso sistema patrimoniale di ogni Paese membro, «in cui il peso economico degli interventi graverebbe sui singoli proprietari, a oggi senza la possibilità di ricorrere a importanti incentivi, quali il Superbonus. Questo avverrebbe in Italia come altrove, a differenza di Stati in cui le proprietà private sono in minoranza e la gestione degli immobili è in mano a società che possono intervenire periodicamente, anche drasticamente». La seconda ha una visione globale, «dato che lo sforzo dell’Unione Europea di incidere meno sull’ambiente rischierebbe di essere controbilanciato dall’aumento di emissioni nei Paesi produttori di materiali da costruzione. Stesso problema – conclude – che si pone con le auto elettriche e il successivo smaltimento di parti elettroniche e delle batterie».