Sara ci racconta la sua esperienza di volontariato in Brasile con AIESEC!

Avevo paura a partire, la verità è che poi, ho avuto più paura a tornare indietro.

Un metaforico tornare indietro, inteso come paura di dimenticare tutto quello che lì ho imparato. Paura di perdere quell’energia che, spontaneamente, per un mese e mezzo mi ha tenuto Viva!

Mi chiamo Sara, ho 21 anni e la mia esperienza di volontariato con AIESEC ha avuto luogo a Salvador, nello stato di Bahia, in Brasile.

La mia storia inizia in una NGO, “Creche Cantinho Encantado”, dove avrei dovuto  insegnare inglese ad un gruppo di bambini di diverse età (dai 2 agli 8 anni di media), dico “avrei” perchè il mio lavoro si è rivelato diverso da quanto mi aspettavo. Credevo sarebbe stato facile tenere “normali” classi di inglese, ma mi sono scontrata con la dura realtà che molti bambini non conoscevano nemmeno l’alfabeto in portoghese, perciò l’insegnamento di una seconda lingua era pressoché impossibile.

Io e gli altri 6 volontari internazionali (altri 2 italiani, Marzio e Chiara, un ragazzo peruviano Jimmy, Nouhaila dal Marocco, Tomàs del Portogallo e Jens dal Belgio) ci siamo ritrovati davanti a due scelte: lasciare tutto e andarcene perchè non era quello che ci aspettavamo, oppure adattarci alla situazione e sfidare i nostri schemi mentali affrontando al meglio la sfida che ci si era presentata. Abbiamo scelto la seconda opzione, ed è stato proprio grazie a questo atteggiamento che, di giorno in giorno, ci siamo inventati diverse attività per cercare di insegnare almeno qualche parola di inglese ai bambini, ma il nostro obiettivo era diventato soprattutto il cercare di creare un rapporto con loro. E così abbiamo fatto. L’ultimo giorno ho versato le più sincere lacrime quando una di loro, Karol, mi ha chiesto “ma quindi non torni più?”. E’ stato un momento davvero forte per me.

L’allegra brigata era gestita da Rosa, una donna sensazionale. Ci accoglieva ogni mattina con un caloroso “BOM DIA” e con qualche passo di samba ballato sulle musiche della ormai famigliare “Bahia FM” (unico canale radio che passava nella scuola). Ha una forza ed un’energia che in poche persone ho conosciuto; severa e decisa nel voler impartire una buona educazione ai bimbi, ma pronta a dispensare affetto a chiunque ne avesse bisogno.

A dare una mano c’era anche Eliete, la cuoca. La scuola non aveva molto denaro, il poco cibo che avevamo veniva da donazioni, ma lei faceva del suo meglio per dare ai bambini e a noi il miglior pranzo che si potesse avere; sentivi tutto il suo affetto mangiando l’immutabile riso con carne e fagioli.

Nelle aule, invece, ad aiutarci con le irrefrenabili pesti c’erano tre maestre: pro Wilma, pro Joe e pro Monica (pro è l’abbreviazione per “professora”, con cui bambini e volontari chiamavamo le insegnanti).

 

Non credevo che l’esperienza sarebbe andata così, non credevo che sarei arrivata addirittura a sentire la mancanza di quegli esserini; ma così è stato e così è tutt’ora.

Sono riuscita ad inserirmi nell’armonia di quella scuola, che nonostante i mille problemi, finanziari e non, aiuta i ragazzi a sentirsi amati e rispettati. Non potrei essere più soddisfatta del lavoro che io e gli altri volontari abbiamo fatto in quelle sei settimane.

 

Il mio viaggio, però, non è stato solo il lavoro nella scuola, sarebbe stato molto più semplice andarmene se così fosse. Ciò che ha reso ancora più complicato lasciare il Brasile è stato l’essermi innamorata di quel paese.

Ciò che più mi ricorderò di quel luogo? Non le spiagge paradisiache, non il cibo incredibile, non la musica carica di sentimento, ma le persone.

Devo ammettere di aver già fatto qualche viaggio, in paesi diversi fra loro, ma la migliore accoglienza l’ho sentita lì, su questo non ho dubbi. Il calore e l’affetto che chiunque abbia incontrato mi ha dimostrato è ciò che più conserverò nel mio cuore. In un mese e mezzo non ho mai incontrato un brasiliano scorbutico e maleducato, tutti sempre disponibile ad aiutare nonostante non parlassi la lingua e non conoscessi le loro abitudini. Per quanto mi riguarda, sono loro che rendono quel luogo un posto da cui non voler più andare via.

Certamente, il Brasile ha diversi problemi, tra cui criminalità, crisi finanziaria e sfiducia nei confronti delle istituzioni, tutto questo è risaputo, è visibile nei piccoli e grandi gesti e la gente ne parla, seppur non con troppa frequenza. Tuttavia l’aria che tira è piena di energia positiva, che a tratti può venire interpretata come disinteresse da parte delle persone nel cambiare le cose, ma per come l’ho vissuta io, quella leggerezza d’animo era piuttosto una maniera di affrontare i problemi, ovvero non caricarsi di pressioni che possono rendere la vita difficile, ma vivere sereni, nonostante tutto. Sicuramente questa energia è un’altra caratteristica che porto ora con me, qui in Italia.

Come se tutto questo non fosse abbastanza per rendere difficile il ritorno in patria, nel mio cuore ora conservo anche le incredibili amicizie che lì ho stretto. A cominciare dai miei compagni di gruppo con cui ho condiviso anche un viaggio nel viaggio: un road trip a Chapada Diamantina (un parco naturale dello stato di Bahia, che ad oggi è forse il luogo più sensazionale che abbia vissuto). Per passare ad Ana, la mia host-sister; la persona più energetica che abbia conosciuto. Non dimenticherò mai la musica a tutto volume al mattino e il farmi ballare per svegliarsi. E con lei i suoi genitori, che hanno aperto le porte della loro casa per me, perché io potessi vivere questa esperienza, e perché potessi condividere con loro un po’ d’Italia. Un posto speciale nella mia memoria è anche dedicato a Rosi, la mia Buddy, la migliore cupido che esista e amica fantastica. Ultimi ma non per importanza, gli altri volontari di AIESEC, i ragazzi del comitato di Salvador e tutti i brasiliani; tutte persone senza le quali questa esperienza non sarebbe certamente stata la stessa.

Avevo paura a partire, la verità è che poi, ho avuto più paura a tornare indietro.

Ma ora ho anche capito che tornare indietro è parte dell’esperienza, che ora tutto quello che posso fare è raccontare con estrema gioia tutto ciò che ho visto e vissuto. Raccontare di quanto il Brasile abbia da dare, di quanto sia soddisfacente dare una mano, raccontare di quanto ricevi ad uscire dalla famosa “comfort zone” e metterti in gioco e non avere paura di ciò che è diverso.

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