Milano – Dopo aver scampato 3 nuove ondate di crediti deteriorati, riusciremo a scampare anche la
quarta? E’ questa la domanda con cui si chiude la 15° edizione del CVDAY che si è svolto il 1° dicembre 2022 a Milano presso il Centro Congressi Allianz MiCo.

L’evento, che dal 2008 rappresenta “the place to be” per tutti gli attori della Credit Industry e non solo, ha unito per la prima volta due grandi eventi in un’unica data con due plenarie parallele, durante la mattina, dedicate rispettivamente al Credit Management e al Real Estate, e un’unica plenaria nel pomeriggio in cui i due grandi temi si sono incontrati e confrontati per trovare punti di contatto e nuove sinergie da sviluppare per disegnare un nuovo ecosistema sempre più strategico per l’intero comparto economico-finanziario.

Dopo oltre due anni di pandemia, il recente aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione, il rincaro dei costi dei materiali e delle forniture energetiche, i settori della Credit Industry e del Real Estate sono stati investiti da grossi cambiamenti ed è giusto chiedersi qual è il loro stato di salute e quali sono le dinamiche che li coinvolgeranno nel prossimo futuro insieme all’intera filiera che ruota attorno.
Nella prima plenaria, intitolata “CREDIT MANAGEMENT 4.0: dalla Early e NPE collection all’evoluzione omnicanale”, il Keynote Speech di apertura, a cura di Pier Paolo Masenza – Partner PwC Italia, FS-Strategy and Value Creation Leader, ha fatto una panoramica del mercato mettendo in evidenza quanto, in un lasso di tempo brevissimo che va da aprile ad oggi, il mondo sia cambiato radicalmente.

A febbraio 2022 le aspettative di crescita del PIL per l’Italia al 2023 erano, secondo le previsioni della Commissione Europea, del 2,3%; a novembre 2022 le stesse sono crollate allo 0,3%. L’inflazione al contempo è salita dal 6,5% di marzo 2022 all’11,8% di ottobre 2022. Guardando un po’ più indietro vediamo che gli NPE sui bilanci delle banche sono passati da 92 miliardi nel terzo quadrimestre del 2021 a 68 nel primo semestre 2022. Questo vuol dire che le banche sono molto più solide rispetto al passato, ma che il pericolo di una nuova ondata di crediti problematici non è scampato.

Il sistema italiano mostra un più alto profilo di rischio rispetto ai vicini europei, che hanno comunque esposizioni rilevanti in valori assoluti. A giugno 2022 l’NPE ratio lordo italiano era del 3,5% contro l’1,8% francese, l’1% tedesco e il 2,8% spagnolo (contro una media UE dell’1,8%). Eppure lo stock di NPE italiano sfiorava i 67,8 miliardi di euro, mentre quello francese superava i 109 miliardi e quello spagnolo raggiungeva i 79. Dal punto di vista dei crediti Stage 2 l’Italia vanta un ammontare di 255 miliardi di euro contro i 487 della Francia, i 219 della Germania e i 155 della Spagna.

Non c’è dubbio che per la gestione dei crediti deteriorati, negli ultimi 7 anni, si sia fatto tantissimo e se
dovesse arrivare una nuova ondata di certo non avrà l’entità paventata nei mesi passati ed avrà un impatto minore sul sistema bancario e, in generale finanziario del Paese, grazie al fatto che si è ormai creata una vera e propria industry del debt servicing con oltre 300 miliardi di euro in gestione e circa 15mila risorse impiegate.

Il rapporto tra banche e servicer si fa sempre più stretto tanto che oggi le prime 5 banche italiane hanno un accordo di lungo periodo per la gestione di NPE con player specializzati. La specializzazione, insieme all’industrializzazione e all’automazione dei processi, sono sempre di più le chiavi di lettura per gestire la crescente mole di crediti in circolazione sul mercato italiano (si stima siano 340 miliardi di NPE, compresi quelli ceduti ad investitori). E questo vale anche alla luce di un rapido sviluppo del mercato secondario, che già da quest’anno è diventato a tutti gli effetti teatro di numerose transazioni.

Dalla tecnologia passa, inevitabilmente, la via d’uscita per un’industria, quella della credit collection, che deve conciliare sempre di più l’inconciliabile ovvero margini di guadagno sempre più ridotti con aspettative sempre più elevate. Ogni singolo servicer dovrà fare i conti con questa realtà e giocarsi tutto sull’evoluzione tecnologica anche perché se si guarda indietro, anche solo di 4-5 anni, si ritrova in un mondo completamente diverso e non può non andare incontro al cambiamento.

Un punto cruciale sarà la gestione dei crediti vivi che per essere efficace necessita di un ripensamento ulteriore dei modelli operativi facendo ricorso a tutte le possibili soluzioni offerte dalle nuove
tecnologie, dall’Intelligenza Artificiale al machine learning.

Trovare una soluzione per i crediti vivi significa sostenere l’economia reale e richiede uno sforzo congiunto del sistema, attraverso un’alleanza tra tutti gli attori coinvolti. A proposito di economia reale la plenaria dedicata al Real Estate, dal titolo “RE-THINK THE FUTURE”, ha disegnato una panoramica altrettanto significativa di uno dei settori più strategici per il futuro del Paese. Nello speech di
apertura sui dati del mercato Lia Turri – Partner PwC Italia, Real Estate Leader, ha evidenziato come negli ultimi 20 anni il mercato immobiliare si sia completamente trasformato: nel 2004 le asset class su cui si concentrava l’offerta e, di conseguenza, gli investimenti erano soltanto 8. Nel 2023 se ne prevedono ben 27, più del triplo.

Se appena 18 anni fa i primi 3 driver per gli investitori erano lo “shopping centres”, il “residential” e l’”high street shops”, per l’anno prossimo si prevede che ai primi tre posti ci siano “new energy infrastructure”, “life sciences” e “data centres”.

Basta questo a fotografare un mondo completamente nuovo. Oggi gli investitori cercano di anticipare
le tendenze di un mercato che si adatta in maniera estremamente veloce ai cambiamenti. Lo shopping centres che nel 2004 era al primo posto, nel 2023 addirittura scompare dalla lista degli asset class strategici per il settore, insieme anche al “residential” che diventa “private rentede residential”. Il volano di questo straordinario cambiamento è sempre la tecnologia che applicata al Real Estate prende il nome di Proptech.

E quello che oggi sembra una novità in realtà è già ad un grado di evoluzione avanzata per cui stiamo già parlando del Proptech 3.0. L’Italia da questo punto di vista è in ritardo rispetto ad altri paesi, ma sta vivendo una crescita significativa ed attrae enormemente la platea degli investitori internazionali.
Quello che ci aspetta, dunque, è un settore in fermento, con una tecnologia che entra sempre di più in tutti i passaggi della filiera e un intreccio sempre più stretto, e su tutti i livelli, con l’industria del credito.