Gad Lerner sul suo Blog (www.gadlerner.it) parla ieri di spettatori dimezzati nella puntata de “L’infedele” su “Eluana anima prigioniera” e della fuga del pubblico non più abituato a rapportarsi col dolore se non in forma di fiction. Credo che questa sia una analisi sbagliata. Il pubblico si appassiona alle storie direttamente raccontate dai protagonisti, da chi le vive direttamente e non può certamente appassionarsi con uguale intensità alla teorizzazione del dolore, alle dissertazioni teologiche, a tesi preconcette anche se discusse con garbo e competenza.
 
E al dibattito de “L’Infedele” l’altra sera su La7 mancavano i protagonisti. Mancavano i fisiatri, gli operatori sanitari e non, mancavano le associazioni, mancavano le famiglie, mancavano le persone in stato vegetativo e quelle risvegliate dal coma che ce l’hanno fatta ( e per fortuna sono tante).
 
Gli operatori dell’informazione e della televisione dovrebbero interrogarsi su questo, fare proposte per far sentire la pluralità delle voci del dibattito e capire quando un argomento è stato presentato con troppa ripetitività. Non è più possibile, con tutto il rispetto per la vicenda umana, appiattirsi sul personaggio Beppino Englaro e continuare a parlare della “dignità di fine vita” senza prima parlare del “diritto alla cura e all’assistenza”. Bisognerebbe farlo per par condicio, per onestà e completezza dell’informazione.
Si sta diffondendo nell’opinione pubblica, grazie anche a trasmissioni come quella dell’altra sera, l’errata convinzione che oramai essere in stato vegetativo vuol dire per le famiglie restare al capezzale di un malato terminale, in un ambiente invivibile, dove la depressione ed il desiderio di farla finita rappresentano la compagna di tutte le ore, per tutti i giorni ancora destinati a vivere. Questo non è vero e per fortuna non tutti la pensano come Beppino Englaro.
 
Ci sarà qualcuno nella televisione italiana disposto a chiamare in trasmissione le associazioni, le famiglie, gli operatori che giornalmente vivono il problema, per far sentire anche la loro voce?
 
Bisognerebbe che la televisione fosse più coraggiosa, che i vari Vespa, Mentana, Costanzo, Santoro, Floris, lo stesso Lerner (per citarne alcuni) si interrogassero se poi sia così pericoloso rappresentare quella parte del paese che, vivendo in condizioni simili ad Eluana, si sente chiamata in causa per le ripercussioni che il suo caso potrà avere su di loro e sente di non essere rappresentata.
Credo che il dibattito si accenderà e si infervorerà di nuovo dopo l’11 novembre.
Ma, credetemi, tutti i giorni le famiglie vivono la quotidianità del disagio e non dovrebbe esserci bisogno di legittimare la propria esistenza per fare sentire la propria voce. Queste voci esistono, sono presenti, basta soltanto avere il coraggio di raccontarle. E volerlo fare.
 
Fulvio De Nigris
Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma – Gli amici di Luca
nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris – Azienda Usl di Bologna

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