I poeti autentici hanno il coraggio della banalità: è la lezione che Saba sussurrò alle nostre orecchie distratte, dicendo di amare trite parole che non uno/ osava…, incantato com’era dalla rima fiore/ amore, / la più antica difficile del mondo. Nevio Nigro è uno di quei poeti che non hanno paura dei colori primari, delle parole abusate e in apparenza logore, di cui certi scrittori (specialmente lirici) sembrano vergognarsi, come ci si vergogna del parente simpatico, ma un po’ scemo, che ci mette in imbarazzo nei pranzi di famiglia. Se leggerete Il sale dei baci (Crocetti Editore, 2002), scoprirete che la verità interiore di un uomo non ha bisogno di contorcimenti linguistici e concettuali per stagliarsi nella luce. Nigro vi parlerà della luna, lenta e innamorata, calante e nera come i capelli di una ragazza (quanti poeti oserebbero istituire una similitudine così sdrucita?); vi dirà delle giovani donne, viste passare lungo la strada o distese sulla sabbia del tempo, reali e immaginate, pensate, sfiorate dal ricordo, come quella ragazza bella / che abita in fondo al viale e lo illumina di un sorriso; vi parlerà della notte, del mare e del vento: “notte”, “mare”, “vento”, suoni che anche certi parolieri con pretese intellettualistiche maneggiano con parsimonia, nel timore di essere considerati autori “sentimentali”. Ebbene, Nigro è un poeta sentimentale, cioè la sua poesia aderisce totalmente al piccolo mondo spirituale, morale, affettivo di un individuo attraversato dalle nostalgie, dai rimpianti, dai “fragili sogni” degli uomini. “Sogno” è un’altra parola “trita”, di cui il poeta si prende cura; forse la più trita, tra quelle che guizzano nella sua rete: …Sognavo un sogno/ pieno di paura./ Un lungo sogno/ che non voglio più(…) Senza quel sogno/ che farò la notte? Dopo quel sogno/ non sarà più giorno. Nigro citaShakespeare e Calderon de la Barca, attingendo dal repertorio più scontato: “La vita è sogno”; e ancora: “Noi siamo fatti della stessa sostanza del sogno…”; citazioni di cui sarebbe capace anche chi non avesse mai letto una riga dei due drammaturghi: è uno sberleffo nei confronti degli impiegati della scrittura, che corredano le proprie miserie letterarie di riferimenti ai filosofi più pensosi, ai poeti più solenni e oscuri, fingendo di averli capiti. Certo, la semplicità, la limpida evidenza, non rispecchiano necessariamente una mancanza di complessità: l’una può esistere accanto alle altre; ma in Nigro non c’è neanche la ricerca della complessità; c’è la semplicità nuda della poesia, quella sì, ma come conquista, non come dato acquisito a priori. Spesso il suo verso esaurisce lo slancio nel punto fermo, come nella lirica Momento: Stasera piove./ Sono scuri i tuoi occhi./ E oscura sei./ Piove la tua voce. Eppure proprio il procedere dello stile per incisioni nette e brevissime, dà al lettore la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di non finito, come i frammenti di un’elegia perduta. Una volta chiesero a Montale di dare una definizione del poeta; domanda ingenua, a cui con finta ingenuità egli rispose: “Il poeta è uno che scrive poesie”; con ciò intendendo dire che i poeti non sono in confidenza con gli dei, e che anche le parole più belle può portarsele via il vento. Forse le poesie di Nigro non abiteranno a lungo la vostra memoria, dopo che le avrete lette; ma non importa, perché non vogliono essere più di quello che sono: baci sull’acqua, nuvole che passano sui ricordi e l’amore.
Il sale dei baci,
Crocetti Editore, Milano 2002,
pp. 132, € 12,80
 
di Canio Mancuso

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