Quest’anno la situazione nazionale e internazionale è particolarmente complessa e diventa sempre più urgente chiederci, al di là delle prese di posizione preconcette, quale possano essere le strade per “acchiappare” una ripresa che sembra allontanarsi man mano che la rincorriamo. In questo contesto ci è sembrato impossibile cavarcela con qualche slogan o con un solo pensiero unificante: vi proponiamo, quindi, a cominciare da questo articolo, un percorso in più tappe intorno all’idea guida del “governare con la rete”[i] . Questo primo articolo “aperto” si propone di delineare lo scenario e la nostra tesi interpretativa con i suoi valori e i suoi attori. Seguiranno altri quattro “capitoli” dedicati rispettivamente al nuovo modello organizzativo, alle reti territoriali, al compito di “fare rete” con i cittadini, alla cultura dell’open government e degli open data. Infine daremo a voi la parola con un sondaggio di “PanelPA” [per saperne di ppiù su questo strumento potete consultare la pagina dedicata, sul nostro sito] in cui vi chiederemo di indicare quelli che per voi sono i rischi, le opportunità, i punti di forza e di debolezza del “fare rete”.
Il risultato di questo lavoro sarà, speriamo, non solo il programma di FORUM PA 2011, ma anche un pensiero condiviso che possa aiutare l’amministrazione pubblica a “sbloccarsi” e a fare di più e meglio spendendo meno.

1° capitolo: Lavorare insieme per un’innovazione distribuita, empatica e collaborativa.

Il ragionamento è lineare e spero chiaro, ma non brevissimo: conto sulla vostra pazienza.

1 – Le nostre tesi

In pillole il ragionamento che guida la nostra analisi si svolge su questi punti:

  • Mentre in tutte le economie occidentali si sta cercando di rispondere alla crisi con un’iniezione di innovazione, in Italia l’innovazione latita sia nelle azioni politiche, sia nell’attività imprenditoriale;
  • L’innovazione che c’è non è frutto di grandi progetti-Paese, che mancano completamente, ma nasce dai territori ed è spesso orientata ad incrementare la qualità della vita delle comunità locali;
  • Ed è proprio dalle comunità e dai loro “beni relazionali” che può ripartire uno sviluppo dal basso, che deve, però, necessariamente trovare spazio in una politica nazionale dell’innovazione;
  • In questo processo di “messa in rete” dell’innovazione sono attori necessari la politica, l’amministrazione con i suoi dirigenti e i suoi impiegati, le imprese, i cittadini; il government (politica + amministrazione pubblica) non può esimersi da svolgere un compito di regia, ma deve farlo orientando l’innovazione all’effettivo incremento dei “beni relazionali”.

2 – Un anno dopo.

Nell’autunno dell’anno scorso avevamo proposto in un editoriale, come tema del FORUM PA 2010, il titolo del bel libro di Jaques Attali “La crisi, e poi?”[ii], per stimolare una riflessione su quale Paese volessimo che uscisse dalla crisi.
Allora infatti, ahimè, ci sembrava prossima l’uscita dal tunnel. Oggi, che sappiamo che la ripresa sarà molto più lenta e meno prevedibile e che questa fase comporterà ancora molto disagio sociale, ci chiediamo, nel proporre il tema di FORUM PA 2011, se per caso non dobbiamo avere più coraggio nel guardare la situazione, nel definire i fini che vogliamo proporci e gli strumenti a nostra disposizione per “sopravvivere alle crisi”[iii].

Come è sotto gli occhi di tutti infatti dalla crisi non siamo ancora usciti: disoccupazione, stagnazione dei consumi, in specie di beni durevoli, crescita nulla o molto bassa sono segnali inequivocabili.
Se questo è in generale fonte di grande preoccupazione, d’altra parte avevamo detto chiaro che ad uscire dalla crisi così come ci eravamo entrati, a tornare come prima, non ci tenevamo affatto. Si apre, quindi, una fase di riflessione che potrà anche essere positiva se sapremo cogliere nei fenomeni e nei grandi trend internazionali le ragioni per un profondo cambio di paradigma, che proponga un diverso modo di intendere la crescita e lo sviluppo.
Perché in fondo cosa vogliamo che cresca? Non certo solo il PIL, che incide nella vita di ciascuno di noi in modo assai ambivalente[iv], ma piuttosto la nostra felicità. E a dire il vero di questo comincia ad accorgersene, con qualche timidezza, anche la scienza economica (la scienza triste la chiama Krugman[v]).

La nostra tesi, quindi, è che oggi sia necessario un nuovo punto di vista che ci faccia mettere al centro temi e potenzialità che per ora sono solo marginali nella riflessione politica. Stiamo parlando di cose come la capacità di fare rete, la consistenza e la qualità dei beni relazionali[vi] del Paese, la coesione sociale e con essa la capacità delle comunità di reagire alla crisi in forme non competitive, ma collaborative e solidaristiche.
In questa riflessione non siamo soli: economisti, filosofi, politologi e gli stessi studiosi dell’innovazione tecnologica pongono sempre maggiormente al centro dei loro studi, e anche delle loro speranze, la ricchezza delle relazioni sociali.
Uno sguardo attento alla realtà del Paese, che superi gli stereotipi e si stacchi dai palazzi, non può, inoltre, non vedere che la crisi si supera meglio, o almeno si sopporta meglio, dove la qualità della vita è alta, perché è alta la qualità della rete sociale, resa possibile non solo dalle amministrazioni pubbliche e dalle istituzioni, ma anche dal tessuto delle relazioni che rende possibile ed efficace la partecipazione dei cittadini e dei soggetti economici profit e non-profit.

3 – L’economia della felicità.

Numerosi e importanti studi si sono susseguiti negli ultimi anni per argomentare razionalmente la constatazione empirica che “i soldi non fanno la felicità”. Cosa che da sempre sanno tutti… tranne gli economisti che hanno continuato, da più di un secolo, a vedere l’essere umano solo come “homo oeconomicus”.

Su Saperi PA trovi l’intervento e l’intervista di Amartya Sen a FORUM PA 2010

Da Amartya Sen[vii] a Zygmunt Bauman[viii] a Jeremy Rifkin[ix], ai nostri Zamagni[x], Becchetti[xi] e l’acuto Luca De Biase[xii] è un susseguirsi di indagini che mettono al centro il concetto di felicità, ma anche quelli di sviluppo e di benessere, come strettamente dipendenti dalla ricchezza dei beni relazionali. Non ultimo il Ministro Brunetta (questa volta in veste di economista) ci ricorda nel suo volume “Sud – Un sogno possibile” che “Il bene relazionale non è altro che un sistema di relazioni con chiari effetti economici, la sua presenza contribuisce a spiegare il livello di produttività di un’azienda o di un sistema sociale”[xiii]
In tutti questi lavori viene messa in evidenza la grande opportunità che l’innovazione tecnologica, attraverso la disponibilità della rete (Internet in primis ovviamente), offre al creativo arricchimento della conoscenza e dei beni relazionali.

Ai più accorti non sfugge però che tale sviluppo della tecnologia non è conquistato una volta per tutte, ma anzi è in palio in una partita ancora tutta da giocare. Una partita che coinvolge la capacità delle istituzioni, del government[xiv] , di creare le condizioni per un “ecosistema della conoscenza”. Se lo sapremo garantire, in questo ecosistema cresceranno, assieme alla nostra rete di relazioni, ed in sinergia con questa, opportunità economiche e occasioni di partecipazione che faranno presagire la possibilità di un diverso genere di sviluppo.
Basta pensare, per scendere a chiarificanti esempi di ogni giorno, all’industria dei contenuti digitali e alla battaglia sul copyright, alle esperienze di open data e di open government e alle loro ricadute sulle imprese e i cittadini in termini sia di business sia di partecipazione, all’accesso alla rete, alla lotta al digital divide, agli investimenti per la larga banda, alla governance di Internet, al trade-off tra sicurezza e diritto alla privacy per renderci conto che la politica e le amministrazioni pubbliche hanno un compito non eludibile. Se l’innovazione infatti è “necessaria”, non ne è affatto determinata la direzione.

4 – L’innovazione empatica al centro di FORUM PA 2011

Quest’anno ci proponiamo quindi di mettere sul palco di FORUM PA 2011 un altro genere[xv] di innovazione, che abbiamo chiamato, rifacendoci anche qui ad un testo magistrale[xvi], “innovazione empatica”. Ci riferiamo ad un’innovazione che nasce dalle comunità e che al benessere delle comunità, in quanto reti relazionali, economiche e sociali, è principalmente rivolta. Per comunità qui non intendiamo ovviamente solo le comunità locali, i “territori” che pure hanno ancora tante potenzialità da esprimere e che costituiscono spesso il luogo principe della politica e della convergenza tra bisogni e opportunità, ma intendiamo anche le community virtuali della rete, le comunità di interessi, le comunità professionali, i tanti network sociali dove si dipana la nostra vita e che una crescita dirompente della tecnologia ha esplicitato in forme prima difficilmente immaginabili.

Ed esempi positivi in questo senso non mancano: dagli studi di  Don Tapscott ed Anthony D. Williams sulla cosiddetta Wikinomics[xvii], ossia l’enorme potenzialità economica che è dietro alla collaborazione gratuita e massiccia di un gran numero di prosumer (insieme producer e consumer), al successo dei social network generici come Facebook[xviii] o per appassionati, come Flikr per la fotografia, a esperienze del tutto diverse, ma di grande interesse come le reti di comunità locali. In questo campo è impossibile ricordare tutte le esperienze di aggregazione, ma citiamo come esempi la “Rete delle città strategiche”, la “Rete delle città sane”, la “Rete delle città solidali”, la “Rete delle città del bio”, la “rete delle città d’acqua”, la recente rete delle “smarter cities” con la collaborazione di IBM, la rete delle “smart town” di Telecom Italia, ecc.. Altrettanto significativa e molto attiva è la rete dei Parchi Scientifici e Tecnologici (APSTI), la rete all’interno dell’Associazione dei distretti tecnologici (ADITE), ecc. Innumerevoli sono poi le associazioni, più o meno istituzionalizzate e promosse dalle amministrazioni locali, che sono rivolte allo sviluppo delle economie territoriali.
Centinaia di community quindi che, sparse su tutto il territorio nazionale, sono luoghi di innovazione collaborativa ed empatica, rivolta prima di tutto verso i bisogni delle comunità locali.

FORUM PA 2011 sarà anche l’occasione per mettere in evidenza le reti degli attori dell’innovazione:

  • la politica;
  • la dirigenza pubblica;
  • gli impiegati delle amministrazioni pubbliche;
  • le imprese private;
  • le imprese e le associazioni del terzo settore;
  • i cittadini singoli e organizzati.

5 – Quattro assiomi[xix]

Quattro le principali premesse teoriche del tema che proponiamo:

a. La prima è che la crescita dei beni relazionali e del capitale sociale sia un fattore chiave per lo sviluppo, inteso come aumento della libertà positiva (nel senso di abilitare le “capabilities” dei cittadini – cfr.Sen[xx]) e, quindi, della qualità della vita e, in una parola, della felicità;

b. La seconda è che le potenzialità della società della conoscenza e del lavoro collaborativo in rete, e quindi dell’innovazione tecnologica, possano essere determinanti per questa crescita sia per le potenzialità che esse hanno, sia per l’enfasi sulla relazionalità che in questo momento le caratterizza, ma che tale ruolo deve essere promosso dal government (politica +amministrazione) attraverso regole chiare e trasparenti, investimenti infrastrutturali e incentivi adeguati;

c. La terza è che la “mano pubblica”, se per definizione non può creare dal nulla né innovazione tecnologica né beni relazionali, può e deve costruire l’ambiente favorevole perché questi si sviluppino e diano i loro effetti virtuosi;

d. La quarta infine è che il government non può svolgere questo compito da solo, ma che per creare le condizioni per lo sviluppo della economia di rete deve, a sua volta, lavorare ed essere in rete con le imprese, con i cittadini, con le reti sociali del volontariato e del terzo settore.

Non è questo il luogo per un esame approfondito di queste affermazioni, ma le verificheremo puntualmente con voi nei mesi che ci separeranno da FORUM PA 2011. È invece opportuno sin da subito trarne, in forma sintetica, e anche qui con la promessa di approfondire in seguito la trattazione, qualche conseguenza per i nostri attori.

7 – I soggetti coinvolti

I nostri protagonisti saranno, quindi, le amministrazioni pubbliche regionali e locali che hanno accettato la sfida di essere registe di articolate reti tese allo sviluppo territoriale. Saranno i soggetti imprenditoriali che hanno saputo intelligentemente raccogliere entità diverse, pubbliche e private, per progetti integrati di innovazione tecnologica e organizzativa.  Saranno le amministrazioni centrali dello Stato che hanno proposto progetti-Paese in grado di mobilitare risorse diverse per un fine comune. Ma saranno anche le comunità di pratica, le comunità scientifiche, le reti delle imprese, i luoghi del trasferimento tecnologico, i nuovi distretti tecnologici e digitali, i network sociali, le reti del volontariato e del terzo settore e, last but not least, le tante esperienze di cittadinanza organizzata che hanno operato, secondo i principi della sussidiarietà orizzontale, per la qualità della loro vita e insieme per il bene comune.
Al centro del nostro interesse saranno certo i progetti, le realizzazioni, le opportunità offerte alle varie componenti sociali, ma anche, e soprattutto, le reti e le relazioni stesse tra i soggetti e le loro modalità di aggregazione e di funzionamento.
La metafora della rete e del lavoro in rete costituirà il filo conduttore del nostro ragionamento e sarà anche l’ambiente in cui esso si svilupperà.

8 – La conoscenza e l’innovazione come “bene comune” : verso gli open data e l’open government

Perché l’innovazione, così come l’abbiamo intesa, possa essere empatica e dare i suoi effetti positivi in termini di qualità della vita e accresciute “capabilities” per i cittadini e le imprese è necessario che essa sia intesa come un “bene comune”, e che come beni comuni siano considerati i dati pubblici. I beni comuni[xxi] sono a disposizione della comunità, ma con regole certe e condivise. Gli esempi di open data sia in USA che in UK (ma ora stanno nascendo iniziative in tante altre parti del mondo) sono una traccia da seguire.

9 – La democrazia della partecipazione e l’amministrazione 2.0

Altrettanto necessario è che la politica si assuma il compito di favorire la partecipazione dei cittadini attraverso la creazione di strumenti interattivi di partecipazione democratica alle decisioni. L’uso delle ICT è un elemento facilitante importante, ma presuppone un’efficace lotta al digital divide sia geografico che sociale in modo da garantire a tutti i diritti di cittadinanza digitale. Le esperienze della community di “Amministrare 2.0” e il relativo manifesto[xxii], presentato FORUM PA 2010, potranno essere da guida per questo importante aspetto.

10 – La nuova PA fondata sul merito e la trasparenza

In questo contesto va visto il ruolo di un’amministrazione pubblica autonoma, responsabile, trasparente  che, sulla base dei principi guida della recente riforma[xxiii], sia orientata ai risultati, accetti la sfida della valutazione e della accountability [ve ne parlavo qualche settimana fa], sia capace di “stare al timone piuttosto che ai remi”[xxiv], senza però mai perdere di vista il suo ruolo costituzionale di garante dei diritti di tutti i cittadini.

11 – La responsabilità delle imprese

Il ruolo delle grandi imprese innovative e dei grandi soggetti economici del Paese, come attori dello sviluppo e promotori di innovazione è essenziale. Esse possono trasferire importante know-how, possono aggregare esperienze diverse, anche internazionali, possono mettere a disposizione del sistema centri di competenza dove testare le innovazioni, possono sviluppare partnership con le PMI locali e creare così tessuti imprenditoriali adatti allo sviluppo della creatività, possono essere esse stesse ambienti collaborativi e learning organization divenendo esempi per le altre organizzazioni. Infine, attraverso azioni positive di responsabilità sociale[xxv], possono essere importanti promotori di innovazione a favore delle comunità e dei territori

12 – L’empowerment dei cittadini e la sussidiarietà orizzontale

Quello dei cittadini è il ruolo più nuovo e potenzialmente rivoluzionario. Da una parte la “riforma Brunetta” dell’amministrazione pubblica offre al cittadino nuovi strumenti di empowerment attraverso processi di ascolto e introducendo elementi di concorrenza nella fornitura dei servizi pubblici, dall’altra con l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione si è introdotto il principio della sussidiarietà orizzontale che scardina dalle fondamenta il cosiddetto paradigma bipolare, che vuole da una parte l’amministrazione come unica fonte sia di potere che di prestazioni, dall’altra i cittadini amministrati (clienti, assistiti, pazienti, etc.) comunque soggetti passivi dell’intervento pubblico.
“La novità sta nel fatto che la sussidiarietà cambia alla radice il rapporto tra amministrazioni e cittadini, impostando il rapporto tra questi poli da sempre in conflitto in termini di collaborazione nell’interesse generale, consentendo in determinati casi di superare la contrapposizione pubblico-privato.” [xxvi]
Nella vita pratica delle amministrazioni metabolizzare questo principio significa dover accettare che l’iniziativa non venga solo dagli organi del potere esecutivo, siano essi governo centrale o governi locali, ma dagli stessi cittadini, con i comprensibili problemi di armonizzazione e di coerenza; ma d‘altronde rappresenta una risorsa nuova e senza limiti per attuare le politiche anche in condizione di permanente crisi fiscale e di bilanci asfittici. Affinché l’esito di questi processi, che potremmo genericamente chiamare empowerment [xxvii] costituisca effettivamente un aumento dei diritti della persona e non una mera dilatazione della sovranità del consumatore [xxviii], ovvero una falsa libertà, è necessario che le amministrazioni garantiscano alcune condizioni di contesto: l’effettivo accesso alle informazioni e ai dati pubblici; la possibilità della partecipazione attiva al processo e non solo alla sua fase terminale; la chiarezza e effettiva praticabilità delle azioni. Come si vede chiaramente anche qui l’innovazione tecnologica, a servizio delle comunità, svolge un ruolo decisivo per passare dalle parole ai fatti.

13 – Quindi FORUM PA 2011 sarà….

Ecco, quindi, davanti a noi la sfida che ci aspetta nei prossimi mesi che, come sempre, vedranno una sempre più intensa attività di preparazione del FORUM PA di maggio, ma anche una ricca e variegata azione di promozione, di accompagnamento e di comunicazione dell’innovazione presente nei territori.
La sfida è di creare un evento che sappia interpretare questa impostazione e che, quindi, permetta ai suoi protagonisti (visitatori, espositori, congressisti) di accedere ad un’esperienza forte di innovazione empatica e collaborativa.
Le settimane da qui alla fine dell’anno ci serviranno per definire meglio il progetto e per proporlo alla vostra valutazione, ma sin da ora possiamo provare a definirne alcune caratteristiche chiave.

Se abbiamo detto che l’innovazione empatica, basata sull’attenzione alla crescita e alla “manutenzione” dei beni relazionali, è centrale per accrescere la qualità della nostra vita, allora essa sarà al centro anche di FORUM PA 2011.

Il FORUM PA 2011 sarà ancora di più il FORUM PA delle reti (al plurale), in particolare nella Mostra, dove gli stand non sono “spazi espositivi collettivi” quanto “spazi espositivi a rete” dove di ritrovano le reti. Anche i convegni nelle finalità, nei format come – soprattutto – nei temi sono improntati al fare rete e a fare emergere la prospettiva della rete nel government.

In particolare ci proponiamo di:

  • promuovere e mettere in mostra le reti
  • evidenziare nuovi soggetti e nuove alleanze
  • ripartire dalle comunità
    • locali: le città, i territori, i sistemi locali dell’innovazione
    • professionali: le comunità di pratica fra professionisti, le reti delle amministrazioni, le reti dei cittadini
    • di scopo: le alleanze per lo sviluppo, le comunità scientifiche, le associazioni pubblico-privato, le reti del privato sociale
  • confermare la logica collaborativa del web 2.0
  • essere un grande momento di (e)democracy e di accountability
  • rafforzare il doppio empowerment dei cittadini e dell’amministrazione pubblica

Nella mostra agli stand classici si affiancheranno, fino a sostituirli in larga parte nelle prossime edizioni, degli spazi espositivi collettivi quali:

  • le piazze dell’innovazione dove, attorno ad un soggetto aggregatore che potrà essere pubblico o privato, si racconteranno i grandi progetti-Paese per l’innovazione
  • gli zoom tematici, anche qui promossi da un soggetto pubblico o privato, che riuniranno amministrazioni centrali e locali e aziende sui temi dell’innovazione normativa, organizzativa o tecnologica (ad esempio il green computing, il cloud computing, la dematerializzazione, la gestione delle risorse umane, il ciclo della performance, il trasferimento tecnologico, la rete della sanità elettronica, ecc.);
  • i sistemi locali dell’innovazione dove sotto la guida di una o più amministrazioni pubbliche di riferimento (Comune, provincia, regione, camera di commercio) saranno portate su un palcoscenico nazionale le micro imprese tecnologiche e le PMI che abbiano un’offerta innovativa per le amministrazioni pubbliche.

La sezione congressuale pur mantenendo i tradizionali appuntamenti politici, con la presenza del Governo centrale e dei Governi regionali e locali, privilegerà:

  • i temi inerenti quegli aspetti dell’innovazione organizzativa e tecnologica, che favoriscono il lavoro collaborativo, il benessere organizzativo, la moderna e costruttiva gestione delle risorse umane;
  • i temi che riguardano la costruzione e la manutenzione di reti sociali, specie attraverso l’uso intelligente delle tecnologie,
  • i temi dei contenuti digitali, degli open data, dell’open government e dei servizi ai cittadini basati sulle strategie di coinvolgimento e partecipazione,
  • i temi dello sviluppo delle economie territoriali e del trasferimento tecnologico, con particolare riguardo alla costruzione di reti e di comunità professionali,
  • le modalità congressuali interattive, dove sia potenziata la partecipazione attiva di tutti i congressisti, anche attraverso la predisposizione di precedenti momenti di riflessione e consultazione online,
  • le modalità congressuali di tipo “barcamp” dove non c’è una distinzione tra relatori e pubblico, ma ciascuno è chiamato a portare il proprio contributo in un clima di lavoro cooperativo,
  • un efficace follow-up di ciascun appuntamento che, partendo dal documento conclusivo del convegno proponga poi una riflessione nelle settimane a seguire.

(Articolo ripreso da: saperi.forumpa.it)

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