Da qualche settimana, nel bene o nel male, c’è un intenso scambio di attenzioni tra il Veneto e la Puglia. Tra le due sponde agli antipodi dell’Adriatico. Tra le due terre tradizionalmente più rivolte verso l’Oriente. Un trittico, Puglia, Adriatico e Veneto, gelosamente difeso a suo tempo anche da Federico II. Per l’Imperatore Svevo un prezioso percorso alternativo, sicuro e protetto, utile per aggirare le minacciose imboscate dei liberi Comuni lombardi.
 
Dai cori blasfemi su S. Pio dei tifosi veronesi nello stadio di Manfredonia, alla vittoria del Treviso al San Nicola di Bari. Dal successo dei “neri” o “rossi” di Puglia al Vinitaly di Verona, ai progetti del nuovo soprintendente ai Beni artistici pugliesi, Fabrizio Vona, che auspica una grande mostra su Lorenzo Lotto ed un’altra sulla pittura veneta di Puglia dal Trecento al Settecento. E’ tutto un susseguirsi di riferimenti reciproci, come forse non era accaduto in precedenza.
 
Da ultimo l’appuntamento al Castello Svevo di Bari su “I tesori dell’Adriatico”, per presentare il progetto dell’Associazione Ville Venete, che intende allargare la proposta turistica di qualità alle “dimore storiche” di tutte le regioni adriatiche, fino alla Puglia su questa sponda, e comprendendo Serbia, Croazia, Montenegro ed Albania, su quella di fronte.  
 
L’idea di un network transnazionale, per un’offerta turistica interregionale ad alto livello qualitativo, senza dubbio valida e per certi aspetti decisamente affascinante, rischia però di evidenziare i suoi limiti nel paradosso contestuale di una macroarea, forse eccessivamente vasta. L’indistinta catalogazione di Ville Venete, Palazzi Pontifici marchigiani e abruzzesi, Dimore Rurali molisane, Residenze Asburgiche di Serbia, Montenegro, Croazia e Albania, Castelli Rinascimentali dell’Emilia Romagna o Manieri imponenti del Friuli Venezia Giulia, per finire con le tipiche Masserie di Puglia, presta il fianco ad una percezione dispersiva e alquanto confusa dell’offerta e della tipologia di prodotto.
 
Più attrattiva e più rispettosa dei patrimoni intangibili, racchiusi in ciascuno di questi forzieri di storia, di vicende familiari e di cultura, potrebbe risultare una segmentazione federale dell’adesione al progetto. Capace, questa sì, di tutelare le peculiarità identitarie delle varie “dimore storiche” e dei loro territori; dove sorsero, per soddisfare negli anni esigenze totalmente diverse le une dalle altre.
 
Lo stesso marchio de “I tesori dell’Adriatico” presenta una connotazione “palladiana”, che rimanda certo alle Ville Venete, ma poco richiama sia il contesto rurale che quello tipicamente slavo. Tanto meno rende merito all’affascinante immaginario rupestre delle Masserie meridionali. Meglio sarebbe, allora, che ognuna di queste realtà aderisse al progetto e si relazionasse con l’intera proposta adriatica, con un proprio marchio specifico. Moltiplicando il valore aggiunto apportato e dando forza alla variegata offerta turistica, anziché disperderlo in una enciclopedica e generica proposta di “dimore storiche”.
 
Ai greci e ai romani, a cui Andrea Palladio ispirò le sue soluzioni architettoniche, nel corso dei secoli e nei diversi ambiti regionali dell’Italia in generale e dell’Adriatico in particolare, si sovrapposero in alcuni gli effetti rinascimentali (antitetici alle linee dell’architetto padovano), ed in altri, come al Sud, le contaminazioni normanne, arabe, angioine, borboniche e aragonesi. Sarà bene tutelarne la ricchezza e sfruttarne la carica attrattiva. Dopotutto, la bellezza e l’originalità del costume di Arlecchino è proprio nella quantità e nella fantasmagoria delle toppe e dei colori che lo compongono.
 
di Antonio V. Gelormini

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